
In Liguria abbiamo un consigliere regionale che si chiama Tirreno Bianchi. È nato negli anni quaranta, si occupa di porto e commerci. È un comunista. Non voglio parlare di lui, non lo conosco, non so chi sia. Mi incuriosisce il nome: Tirreno. Bestiale! Per un ligure, un rivierasco portuale o marinaro, un nome del genere ha un’onorabilità altissima. Il Tirreno ci si para davanti (pure a noi che non siamo portuali) come un limite e una sfida. Sappiamo che nei secoli attraverso quel mare sono giunti perfidi e ottimi stranieri. Sappiamo che attraverso quel mare abbiamo qualcosa in comune col resto del Mediterraneo, ma lo stesso Mediterraneo sembrerebbe presuntuoso, eccessivo, troppo vago e vasto per designare una persona.
Tirreno ci ricorda il lavoro legato al mare. Se parlate di Sargassi, vengono in mente le anguille; se parlate di mari della Sonda vi verranno in mente avventure da romanzo; mar dei Caraibi i pirati, mar Morto il sale, mar Rosso il turismo o, per i più ortodossi, la Bibbia e i suoi racconti.
A me personalmente Tirreno fa venire in mente un rimorchiatore unto e bisunto, piccino, che spinge sbuffando una pertroliera colossale. Tirreno mi fa pensare alle tavole marce che s’inabissano in porto, ai piccoli pescherecci, quasi cabine del telefono su una barchetta stinta. Mi fa pensare ai silos, alle navi cariche di carbone e ai camalli col sacco “in scabuggio”, sulla testa, a camalare corbe di antracite su passerelle malferme. E penso pure alla Compagnia Unica Pippo Rebagliati, che fino a non molti anni fa (non so oggi com’è) aveva, nella sua sede, la foto di Lenin appesa al muro. Colossali, commoventi, onoratissime teste di cazzo nel senso più alto e positivo del termine. Penso alle tante lotte dei portuali, allo “Stoccafisso e bacilli” da comprare direttamente in porto, da quella tale barchetta (di cui ho sentito raccontare) che fino agli anni ’50 girava per i cantieri navali, per le secche e le calate a vendere stocco e fave. Penso a quando andavo a spiaggia da bambino, con mio fratello, amici e vicini di casa, e l’odore del mare ti rimaneva addosso una settimana (o magari ti sembrava di sentirlo).
Per altri versi gente che conta, gente importante, da prendere come riferimento, esempio e way of life ha chiamato il secondogenito, nato pochi mesi fa, con il nome di Oceano. “Povero bimbo!” è stato il mio primo pensiero. Fortunatamente, di famiglia, ha tanti di quei soldi e potere per cui anziché prenderlo per i fondelli gli altri bambini penseranno solo: “Ma perché io non mi chiamo Oceano?”.
I genitori sono un po’ megalomani, non c’è altra spiegazione. Ho cercato articoli di giornale che dessero tutte le spiegazioni del caso, tipo: “Dall’Oceano viene la sempiterna sfida verso l’uomo” oppure: “Valga, questo nome, a spronarlo verso competizioni e certami vieppiù difficoltosi e arditi”. E invece no, dicono (la famiglia) che questo nome è proprio dedicato a un santo della chiesa cattolica, tale Sant’Oceano, martire in Bitinia (Turchia) a Nicomedia. Altro non si sa. Siccome il frugolo è nato il 4 settembre e quel giorno è sant’Oceano, hanno semplicemente messo il nome del santo del giorno, dimostrando di essere rispettosi delle tradizioni. Solo che Sant’Oceano (a cui, sia innalzata un’ode, nessuno ha mai pensato di dedicare non dico una chiesetta, ma manco un altare –finora e da queste parti…-) viene festeggiato il 18 settembre (secondo il sito www.santiebeati.it che ritengo attendibile) e non il 4, in cui si festeggiano, tra gli altri: Bernardo, Bonifacio, Caleterico, Fredardo, Giuseppe, Marcello, Mosè e Scipione Gerolamo.
Ognuno metta i nomi che vuole, ci mancherebbe. Non sono poi queste le faccende che pesano di più. Mi rattrista sapere che molti bambini da oggi saranno chiamati Oceano perché “il figlio di…” è chiamato così. E mi infastidisce anche la necessità di dare spiegazioni, di tentare di rientrare nel solco della sacra tradizione. Oceano è un nome inusuale, curioso, ma, nel solco delle mode new age, dell’estetica totale, è svuotato di ogni senso. La parola “oceano” viene dal greco e significa “immensità”. Ecco dunque un bimbo abituato fin dalla culla ad essere incommensurabile. E poi oceano non vuol dire niente. Quale oceano? Indiano? Atlantico? Pacifico? Ma già, sbaglio: si tratta di un santo non di un mare.
Tirreno era un nome frutto di una ideologia, una controtendenza marcata che apparteneva ad una classe sociale. Chiamo il figlio Tirreno perché voglio allontanarmi dal giogo di un potere che vigila sull’uomo fin dalla culla, gli consegno un nome importante, dignitoso e austero perché si comporti di conseguenza per tutta la vita. Questo nome sbocciava in anni in cui la libertà non era ancora una parola frusta abusata da tutti.
Oceano è un nome di stile, di concetto, di lucida vernice su forme archetipe, di design e made in italy, infine di uno strano tratto di prevaricazione: posso chiamare un bimbo con certi nomi perché io sono un modello e gli altri mi seguiranno.
Mentre mi documentavo per scrivere queste note ho scoperto che la regale coppia aveva già un figlio. Che nome hanno imposto all’erede? Un nome cristianissimo, un nome da papi: Leone. E nessuno pensi alla superbia del re della foresta. Tutt’al più al noto democristiano partenopeo presidente.