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A questo indirizzo, sul questo blog, avevo già parlato della situazione.
Stasera è sabato, anzi, è già domenica. E io con Patty e Gianco siamo stati “precettati” per la chiusura della stesa, che questa settimana s'è protratta oltre il previsto.
Mully e Paolino si sono fermati fino alle 23,00.
Io ho ripulito lo svolgimento, scopato a terra, ritirato la rumenta. Poi ho aiutato gli altri a scaricare un asse di pellicola ancora in macchina. Poi sono salito con Patty vicino all'estrusore. Ho smontato e portato via i filtri sporchi. Ogni filtro un colore, pensavo: il verde dei boschi delle foto delle vacanze; il giallo di un vestito nuovo; il blu di un cielo dietro a una coppia che sorride. Butto via brani e brani di ricordi, giù nello scarico. Poi con Patty abbiamo scovolato e ripulito dalle macchie. Siamo andati a prenderci un caffè, a mangiarci un panino. Giancu era tutto sudato e stanco morto: sta mettendo su casa e talvolta non dorme di giorno.
Dopo il caffè siamo tornati in sala, abbiamo chiuso l'acqua e chiuso l'estrusore nel suo involucro. Patty, prima di chiuderlo, mi ha chiesto di guardarlo bene: “Vedi? È intero, no? Se dovessero chiedertelo l'hai visto che noi l'abbiamo messo via intero e pulito, giusto?” Si, è giusto, gli ho detto.
Patty è un tipo preciso. Sempre stato così. Lui è nato a Ferrania da genitori che lavoravano a Ferrania, ha lavorato sotto impresa nella Ferrania e poi finalmente ci è entrato. Ed è diventato estrusorista, come dire macchinista in ferrovia, o tornitore in una officina. L'estrusore è (era?) un bancone di inox con numerose fessure dalle quali scaturisce l'emulsione fotosensibile che viene stesa sul supporto di triacetato. Il lavoro di Patty è un po' da litografo (pulizia, precisione, sensibilità al tatto, esperienza) e un po' da ladro, nel senso che come un ladro, al buio, “sente” le prede, ovvero certi difetti. Lui nel buio totale, nel frastuono di mille motori, sente un fruscio che lo fa balzare all'emergenza. Ha sempre lavorato bene, coscienziosamente. E continua anche stasera, dopo vent'anni di fabbrica.
Nelle pause caffè ti racconta storie di pellicole, difetti, strappi, problemi superati brillantemente e altri irrisolti, con la stessa malia di un lupo di mare. E si resta incuriositi e appassionati, perchè non è tanto questione di contenuti ma di passione nel racconto. Fa venire in mente gli operai di Primo Levi, la tecnica, la tecnologia, l'esperienza e la “hyle”, il gobbo maledetto, la pervicace, muta, ostinata contrarietà della natura a che le cose non vadano come si vorrebbe.
Già, è la solita storia raccontata da Melville, o da Hemingway.
Comunque la notte è passata anche stavolta, le ciglia bruciano e si ha solo più voglia di andare a dormire, magari dopo un bel pezzo di focaccia.
Da laggiù, oltre le ciminiere e i capannoni vuoti, il cielo si schiarisce. È luglio e albeggia presto. Ci avviamo al timbro. Poi al cancelletto d'uscita, scatta il tornello dietro di noi.
Una notte normale è appena passata, se non fosse che forse è l'ultima di Ferrania. Era dal 1923 che questo stabilimento produceva pellicola, e bene anche.
E il bello è che quel prodotto si produce e si vende ancora...
Ma poi mi chiedo: cos'è che ci spinge a fare fino alla fine le cose per bene, coscienziosamente? Anche quelli più scalmanati, disfattisti, da cui potevi aspettarti perfino qualche stupidaggine. Niente neanche loro. Hanno fatto quello che dovevano, hanno timbrato e sono tornati a casa.
Due degli azionisti se ne sono andati dalla società che controllava Ferrania. Loro, mi pare, si sono comportati peggio di noi.
