mercoledì 5 novembre 2008

Il superamento della retorica


Il carissimo amico, competente in materia, mi scrive una pagina estremamente interessante, che condivido in pieno, e che, come sempre, meglio non saprei dire.
Per cui eccola tal quale.



Sono stato invitato ad una celebrazione per il 4 novembre. Visto che erano coinvolte le scuole del
piccolo paese, ho accettato. Non avevo grandi speranze né attese, di solito sono giornate celebrative.
Ma nemmeno mi aspettavo di ritrovare ancora tanta retorica ed una ricostruzione semplicistica ed
unilaterale delle vicende del 15-18. D’altra parte hanno parlato gli amministratori e altre cariche, e
allo storico di professione (io) hanno concesso quei pochi minuti che servono per dire “c’era anche
l’Università”… Ora, premesso che rispetto la buona fede degli organizzatori, e il loro intento
“pedagogico”, devo però fare alcune osservazioni.
Intanto, non è vero che la Prima guerra mondiale è stata solo guerra per l’unità d’Italia, quasi una
guerra del Risorgimento. Questa lettura, tipica del nazionalismo e del fascismo (e in genere del
conservatorismo) sottolinea solo una delle cause. Certamente ci fu chi vide nella guerra contro
l’Austria la possibilità di realizzare completamente l’unificazione italiana, ed in genere erano gli
esponenti – per tanti versi ingenui – dell’irredentismo democratico; ma poi c’erano ragioni legate
all’espansione economica nei Balcani, politiche quindi di tipo imperialista e coloniale, cui si
legavano gli interessi della grande industria e della finanza, e che trovavano accoglienza
nell’ideologia espansionistica e di potenza del neonato nazionalismo italiano. Corona, intellettuali,
industria, esercito, parte minoritaria nel paese, erano per la guerra, non il popolo. Dire che i soldati
al fronte sono stati eroici non deve per forza significare omettere la verità: la maggior parte degli
italiani erano ostili o indifferenti alla guerra, e dunque non sono partiti nell’entusiasmo generale
come si tende a dire retoricamente. E sono poi questi italiani, soprattutto contadini ed operai, che
hanno pagato il prezzo più alto, e anche l’inefficienza e la presunzione dello Stato maggiore. Nel
2008 perché dobbiamo ancora limitarci a queste spiegazioni? Possibile che ancora non si possano
dire le cose per come stanno, per come la ricerca storiografica le ha indagate e studiate?
Altre questione: Tutti eroi! Anche qui, possibile che si debba far finta che milioni di soldati siano
partiti contenti di andare verso la morte per la patria? Ma se molti di quei soldati non sapevano
nemmeno parlare l’italiano, e si esprimevano solo in dialetto! Perché non si leggono le loro
testimonianze, le quali ci raccontano di paure, angosce, incomprensioni, voglia di tornare a casa….?
E le dure condizioni sopportate solo perché si era abituati al freddo, allo sporco, al duro lavoro… E’
davvero necessario comunicare queste bugie ai più giovani? Cosa ci sarebbe di male a far
comprendere l’umanità di quei soldati, i loro limiti, la fatica e anche lo sfruttamento cui sono stati
destinati dal loro ceto. Forse gli ufficiali, borghesi, giovani pieni di entusiasmo, studenti, idealisti ed
ideologizzati hanno creduto alla guerra di unificazione nazionale, oppure vi hanno visto i modi di
una rigenerazione o anche la possibilità di una rivoluzione. Non si chiede di negare la storia di chi
ha creduto in certi valori, ma di raccontarle tutte le storie, perché le cose si capiscono meglio
quando tengono conto dei punti di vista di tutti. Ed invece mi pare che si neghi l’esperienza dei più,
a vantaggio di un’idea della guerra, quelle delle classi dominanti che perseguivano i loro vantaggi
ed interessi, classi che rappresentavano la minoranza del paese. Se si esclude la semplice ignoranza
dei fatti di chi perpetua questa visione, allora significa che si ritiene che i poveri fanti-contadini
dovevano eseguire ordini giusti presi da una elite, che erano solo gli strumenti di disegni più
profondi e ampi di chi li doveva guidare; questo aprirebbe allora nuove discussioni, ma di certo
sarebbe poi difficile dire che erano “motivati da orgoglio nazionale”. Insomma, o erano eterodiretti,
allora mette male che fossero anche “volontari”, oppure erano “volontari”, e allora come spiegare le
loro stesse testimonianze che in larga parte ci fanno vedere che non erano certo mossi da idealità
superiori?! Anzi, lettere e diari ci dicono proprio il contrario, e sappiamo pure che dietro alle linee
c’erano le forze dell’ordine pronte a sparare a chi si ritirava. Ma non tutto si vuole, evidentemente,
ricordare alla stessa maniera.
E qui vengo al terzo punto. Perché si deve sempre ricordare (per non dimenticare è il motto di
queste iniziative)? Ma soprattutto, come si fa a ricordare se non si comprende? Invece di adottare un
metodo coattivo verso i giovani (voi “dovete” ricordare, è vostro dovere ricordare) non è meglio che
comprendano, che capiscano? Magari poi ricorderanno anche di più. Ma per comprendere non
bastano, anzi non servono, le celebrazioni retoriche. Serve lo studio, la ricerca, il dialogo, la serietà,
il confronto; serve un’educazione alla complessità, al pluralismo, soprattutto quando si parla di
storia.
E allora basta con la retorica. Basta con la retorica del 4 novembre, del 25 aprile, del 2 giugno e così
via… Non è una questione politica, ma in gran parte di intelligenza e maturità. Siamo mica così
imbecilli da dover credere ancora e sempre alle vuote celebrazioni? E passi per gli adulti, ma
dobbiamo obbligare a questa nostra cecità intellettuale anche i bambini e i ragazzi che abbiamo a
scuola?
Lo ripeto: abbiamo bisogno di comprendere e di far comprendere ai nostri allievi e alunni; non
abbiamo bisogno di suscitare emozioni irrazionali (se mai di educare a come gestirle, ma questo è
un altro discorso) intorno a temi, valori e modelli di comportamento obsoleti.