
Si, continuare si continua, ci mancherebbe. Non esiste mai un buon motivo per smettere.
Però non c'è luogo a procedere, non c'è spazio, non c'è gusto.
Provo a parlare delle cose con alcuni, come ne parlavo con lui. Non serve: o vogliono aver ragione e non ti ascoltano, o ti guardano come fossi un alieno, o un mentecatto.
L'ultimo schiappino della Val Bormida si crede di essere il docente di Umberto Eco. E io con chi parlo? Tutti genii, tutta gente che sa tutto, che non ha niente da imparare e per questo non sa insegnare niente.
Ma poi ha senso fare qualcosa? Mentre scrivo un riassunto di un saggio su un preciso tema del ventennio mi chiedo: posso prendere delle scorciatoie, nessuno lo leggerà, e anche se lo leggessero nessuno se ne accorgerebbe: tutti sapiuti, tutti onniscenti.
Pensavo al gruppo di amici che avevamo coltivato, ma sono tutti compresi in altre celebrazioni. In buona fede, certo, per l'amor di dio, sono per bene. Ma hanno preso la loro strada, fatta di eventi, di giochi, di stile, di parole senza seguito.
E mi accorgo infine, che la cosa più difficile da trovare è la semplicissima capacità di essere conseguenti e affidabili. Facciamo questo? si. Basta, non c'è più bisogno di aggiungere una sola parola. E invece no: discorsi, incontri, accordi, liti, incomprensioni. E per cosa?! Per un peto o poco più.
E io mi ero abituato bene, mi ero abituato ad uno standard altissimo, complesso e organico, profondo e affettuoso. E si era si, no era no. E basta.
E ora non so.