
Ora che abbiamo ufficialmente festeggiato l’unità nazionale posso dire che ho provato un vago fastidio. E lo so che poi di me si può dire che non mi va mai bene niente, ma forse è proprio così, cosa vogliamo farci? Non mi va mai bene niente. Certo, sono contento, felice di essere qui, al mondo adesso, in Italia e non altrove. Ma ho qualcosa da dire.
L’unità nazionale è soprattutto la formazione del regno d’Italia. Eravamo sudditi, siamo diventati cittadini. Non è mica poco… Nel 1861 lo stato era rappresentato dal re, il quale disponeva. Disponeva tutto. Quante guerre sono state fatte al grido di “Avanti Savoia!”? Dopo molto tempo, dopo trasformazioni durissime, dolorose, laceranti, spesso ancora irrisolte, siamo diventati repubblica: non più sudditi ma cittadini (anche se a volte dubito della capacità di partecipazione dei cittadini italiani).
La neonata Italia apparteneva alla famiglia sabauda, poco prima apparteneva a signori dal modesto dominio e allo stato della chiesa. Non aveva la forma che oggi conosciamo. I contadini morivano di pellagra nel 1850 come nel 1860 (e i contadini erano la maggior parte degli abitanti), i latifondisti erano padroni prima e dopo il 1960. Quindi, tutto sommato, non vedo motivi peculiari per festeggiare questa ricorrenza. Anzi ne vedo tre, tutti discutibili: la voglia mai sopita di nazionalismo, il quale è il terreno di cultura idoneo per altre, sciagurate ideologie; il bisogno di riguadagnare spazio retorico e tradizionalistico da parte della sinistra riformista (e quindi anche i partiti neocomunisti) e infine il riempire un vuoto che la lega ha creato, con una retorica di peggior levatura che quella nazionale, con le storie sulla padania, il dio Po, le ampolle e il Nabuccodonosor.
Non mi piace neanche quest’ultimo perché la retorica leghista non si può contrastare con un’altra retorica, ma solo con lo studio serio della Storia e con l’acutizzazione del senso critico.
Festeggerò, con molta sobrietà, il 2 giugno, giorno in cui è nata la repubblica, l’inizio di un percorso ancora da definire.

