venerdì 27 maggio 2011

orti, ruspe e sviluppo


Ho affittato un orto, tre anni fa. Saranno cento metri di terra. Ho anche dei vicini di orto, persone che non conoscevo e che ora frequento. Si chiacchiera, ci si scambia favori. Vicino all'orto c'era una vasta pianura alluvionale. E' stata riempita da rifiuti industriali, in passato. Ora un dinamico imprenditore ha acquisito l'area e, per volontà dell'amministrazione comunale, si procederà a edificare la zona artigianale, piena di asfalto, cemento, luci sfolgoranti, tubi e marciapiedi. Tra il mio orto e la zona artigianale c'era una piccola palude. Nella palude, ingombra di salici, ontani e altri arbusti, allignavano bene rane, rospi e biacchi (i quali hanno una strana simbiosi per cui questi mangiano vicendevolmente gli altri - la biscia mangia i rospi grandi, i rospi mangiano i piccoli della biscia - mantenendo un peculiare equilibrio).
Per il bene dello sviluppo e dell'impresa e dell'economia, le piante sono state tutte abbattute, lo stagno è stato interrato.
Come se non bastasse questa piccola zona umida era anche ad una quota più bassa rispetto al mio orto. Ora che è interrata il punto più basso dell'avvallamento è diventato l'orticello, per cui ora, appena piove, tutto si allaga. Tra qualche anno dove c'era una serie di orti metropolitani ci sarà una selva di erbacce, più probabilmente un garage, un plinto, un ponte... qualcosa di cemento, quale che sia.
Io penso che è molto triste questa cosa, molto triste che l'unica economia che funzioni sia rimasta quella legata al cemento. Penso che sia molto triste far morire un orto, un appezzamento costruito con terra portata in ceste da altre parti, su cui hanno vissuto e mangiato tante persone. E mi stupisco moltissimo a sapere che l'imprenditore (dicono, ma non so se sia vero) ha finanziato la campagna elettorale del partito padano, proprio il partito che difende il territorio, che rispetta le sacre tradizioni (con tutto che la responsabilità di questa situazione non è tutta del partito padano, naturalmente).
Anni del boom economico, anni di piombo, anni di merda, e oggi, infine, anni di cemento, pesanti e irremovibili, dai quali non so proprio come e se usciremo.

lunedì 16 maggio 2011

Un sito per Davide

Al link www.davidemontino.it è visitabile il sito che raccoglie materiale su Davide Montino.

martedì 10 maggio 2011

tutto uguale, tutti uguali, tutto più semplice


Tutto si assomiglia sempre di più. Nella memoria di ognuno di noi c’è, da qualche parte, il ricordo delle differenze che hanno abitato le nostre vite nel tempo che fu. Si rischia di essere passatisti, e di celebrare i “bei tempi andati”, nei quali si giocava con le biglie o amenità di questo tipo.
Allora diciamo prima di tutto che nell’ultimo secolo abbiamo avuto dei bei progressi oggettivi, sulle condizioni di salute, di scolarità, di sicurezza sul lavoro e di diritti alla persona. La mia impressione è che le cose stanno cominciando a cambiare. Per ora il cambiamento non sta nell’inversione di tendenza, ma nell’assottigliamento delle scelte.
Tutto quel che nella nostra vita è artificiale (e ormai lo è quasi tutto) è prodotto da pochi centri di potere. Si chiama produzione di massa e consente di ottimizzare i margini di guadagno.
Passo all’esempio quotidiano e banale, forse puerile: non si trovano, nei bar, dei caffè pessimi. È una stupidaggine? No, è un segno interessante: i caffè sono ormai tutti uguali. Non sto parlando della differenza raffinata da gourmant (che va addestrata e che la massa NON HA, per definizione). Da ragazzo ricordo bar che producevano un caffè rivoltante, lungo e puzzolente. Locali fumosi, dall’aroma vissuto. C’erano sempre un paio di ubriachi che giocavano a carte. Poi c’erano i bar “belli” e poi c’erano quelli “di città” a cui non eravamo abituati. Ora i bar sono (quasi) tutti uguali, a Savona come a Milano, e offrono le stesse cose, senza possibilità di scelta. I supermercati, i centri commerciali sono i grandi promotori di questa uniformazione livellata.
Avevamo, in passato, auto diverse. Prodotte in grande scala, sia chiaro, ma un auto italiana era profondamente diversa da una francese, nel rumore, nelle sospensioni, persino nel cambio. Auto diverse, ti potevano piacere o meno, ma diverse… Oggi ci sono macchine tutte sempre più uguali, al massimo puoi scegliere la categoria (SUV, berlina, utilitaria), ma non c’è più scelta.
I giornali si assomigliano, o riportano comunque le stesse notizie, gli stessi commenti. Appena si esce dalla diatriba del momento circa quel tale personaggio, quando ci si avvicina ai grandi temi, ecco il “pensiero unico”, che tutto comprende e tutto anestetizza…
Non ce ne accorgiamo perché ci hanno convinto che siamo liberi di scegliere, liberi di fare come vogliamo, che abbiamo il gusto, la sensibilità, il buon senso di scegliere coscienziosamente le cose che abbiamo. Qualcuno ha speso miliardi su questo. Ci hanno convinto, inoltre, che i diritti sono innati, connaturali all’uomo, e che è pacificamente automatico avere “diritto a…”. Mentre i diritti, acquisiti con faticose battaglie, necessitano di manutenzione, di applicazione, di discussione.
La stessa democrazia, tanto sfolgorante all’indomani della fine della guerra, si è come appannata di fronte all’attuale sistema di comunicazione, soporosamente piatto e uniformato ad un linguaggio, ad un concetto, una sola libertà e visione del mondo.
Per finire con la politica: il crollo dell’imperialismo sovietico ha provocato un allargamento dell’idea comune, neutra. Fatti salvi i casi in cui i politici sono ladri o disonesti, il sistema partitico genera, da “destra” o da “sinistra”, proposte di soluzione ai problemi molto simili, anche se ci sembrano (ce le fanno sembrare) diverse. Non avere il Partito Comunista al 20% (ma anche qualsiasi altro partito fuori dal pentapartito isituzionale, è stato un impoverimento. Ci abituiamo giorno per giorno a questo mondo dove ci sembra di scegliere tutto, e invece non scegliamo più niente: prodotti, opinioni, partiti, canoni di bellezza, lingua con cui esprimerci.