Il Presidente del Consiglio ha chiamato "martiri" i caduti sul lavoro. Il Presidente della Repubblica è da tempo che invoca un’attenzione particolare per gli infortuni sul lavoro. i giornalisti che vanno a fare un reportage in Afghanistan o in Iraq rischiano la vita, talvolta la perdono, come Baldoni. I carabinieri o i soldati della "forza di pace" pure. Però i giornalisti, se vengono liberati o meno, generano un "dibattito politico" molto aspro, molto acceso, a causa di riscatti pagati, contatti più o meno leciti con terroristi. I carabinieri che muoiono a causa di un attacco suicida (Nassirya) sono eroi e per loro molti vorrebbero la medagia d’oro al VM.
Secondo me c’è un po’ di confusione.
Tutte queste categorie di persone citate esplicitamente ed implicitamente (dico ad es. anche i muratori) sono LAVORATORI. Ovvero: fanno una certa operazione dietro pagamento di un compenso. Talvolta da fame, talvolta profumato. Uno che casca da un ponteggio, che rimane sotto una balla di cellulosa da 2 tonn. (a Genova, pochi gg. fa) sono sempre vittime di un infortunio sul lavoro. Allo stesso modo, secondo me, sono vittime di infortunio anche i giornalisti rapiti e i soldati feriti o uccisi, durante missioni operative (lasciamo stare se di guerra o di pace…). Solo che i muratori sono pagati male, fanno un lavoro ingrato, sono considerati quasi zero. Un giornalista vittima di sequestro (andato là volontariamente e pagato bene) avrà la cassa di risonanza di tutti i suoi colleghi per auspicarne la liberazione. Questo provoca pressione sull’opinione pubblica e quindi sul governo. Un carabiniere è volontario e pagato abbastanza bene. Se rimane vittima di un attentato ha (giustamente) diritto a cure, onori e qualcuno che si prenda cura della famiglia (ma non medaglie, le quali si danno per atti eroici spontanei). Come mai queste differenze? Perchè non è "EROICO" uno scaricatore al porto, un muratore, un adetto ad un impianto chimico che si intossica e muore malamente in vent’anni? Perchè sono disponibili a spendere soldi, parole, monumenti, carte, filmati, fiction in TV, libri, nomi di piazze e di vie, serate speciali da Vespa o Costanzo per soldati e giornalisti e non ad occuparsi allo stesso modo dei morti di Porto Marghera (pertrolchimico), dell’ACNA di Cengio, delle cave, dei cantieri…
Sono lavoratori, tutti quanti. Meritano tutti rispetto. Tanto un carabiniere che per farsi una bella casa accetta di andare a Nassirya, quanto un operaio stroncato dal PVC in polvere o cos’altro (per comprare la cucina nuova..). Perchè per l’inviato di Repubblica si fanno tante parole, tante immagini, tanti discorsi e per quell’uomo (di cui non so neppure il nome) morto in porto a Genova metre scaricava la celluloide non si sa nulla?!
Usiamo le parole giuste: non ci sono nè martiri nè eroi, ci sono persone che lavorano, sanno lavorare, lo fanno (spesso) meglio che possono per portare a casa la micca (e il companatico) e talvota restano vittime. Nè martiri nè eroi!
Triste è quella società che ha bisogno di eroi.
lunedì 16 aprile 2007
giovedì 12 aprile 2007
Aiutiamoli, ma attenzione

Sono stato ad una nuova riunione del gruppo "Luca è con noi", l’associazione neonata che si occupa di infanzia, soprattutto in Africa, di adozioni a distanza, di un sacco di belle cose. Dino, uno dei fondatori, ha rivolto a sè e agli amici presenti, una domanda: "Perchè in Africa c’è la fame? Perchè proprio lì e non altrove? Perchè, mi chiedono altri, ormai da anni li aiutiamo e loro sono sempre alla fame?".
Sono domande lecite, e credo che il primo compito di chi decide di fare della solidarietà internazionale sia quello di rispondere, ovvero di documentarsi.. In attesa di approfondire e articolare meglio la risposta vi propongo quello che sono riuscito a trovare in breve e che non vuole soddisfare la questione, anzi, vorrebbe generare altre domande più specifiche.
Dal 1500 circa il mondo "civile" e "occidentale" ha cominciato a sfruttare il grande continente africano. Primi i portoghesi e poi al seguito tutti gli altri. Soprattutto dal punto di vista degli schiavi. Forti dell’interpretazione della bibbia (bisogna dirlo) per cui i neri erano inferiori, quindi merce, quindi esportati a larghe mani in tutta l’America. Tutto sommato però, in Africa, le cose non sono cambiate massicciamente, anche con uno scempio del genere, a cura dei cristiani e dei musulmani. Le cose cambiano con gli stati nazionali, con le colonie, con la progressiva "fame" di materie prime, fonti energetiche e soprattutto mercati nuovi. Parlando sempre in termini generali e lasciando fuori i casi particolari, l’inizio della fine per l’Africa è l’esportazione di modelli di vita "occidentali" in zone abituate con ritmi, economie, agricolture, assai più semplici e antiche. Esportando modelli di economia di mercato in territori dove la forma della società non era adatta, non era formata per questo, dove c’era una forte povertà diffusa, ma che non si accompagnava ad una miseria reale, si è raggiunto il disastro progressivo. Iniziarono, col tempo, i favoritismi per questo o quel governo fantoccio, le forniture di armi pagate a caro prezzo per inventarsi guerre che fino a qualche anno prima erano solo scaramucce a pietrate, trasformandole in spirali di efferatezze. Dove passa la guerra si forma il terreno adatto per l’odio, le malattie, i profughi che si spostano improvvisamente in massa, generando altra fame, altre malattie, altre guerre, minando economie agricole debolissime, ma fino ad allora sufficienti. A questo punto il "mondo civile" fa il suo capolavoro: gli aiuti internazionali. Ovvero, ad esempio, tot tonnellate di grano (ma potrebbe essere altro) gratuito in quella tale zona. In pratica in quella zona il prezzo del grano diventa prossimo allo zero e i contadini del posto vanno a gambe all’aria. Le multinazionali convincono le masse ad adattarsi ai loro prodotti: "migliori", "esotici" ma soprattutto realizzati fuori dall’Africa, per cui si continua a svantaggiare la produzione autoctona. Non c’è industria e i prezzi dei prodotti africani li fanno i compratori: cioè dei "cartelli" di degnissimi imprenditori, di quelli che vengono additati dalle nostre televisioni come meritevoli di massimo rispetto. E il prezzo che fanno è basso, molto basso. Il cacao in Costa d’Avorio lo hanno sempre pagato 10 (per dire un numero) e ora (da qualche anno) hanno deciso unilateralmente di pagarlo 6. Senza contare che sono state le stesse multinazionali a "spingere" per fare monoculture intensive, distruggendo o rendendo inefficace la vecchia agricoltura.
Ecco, grossomodo i motivi sono questi, mal detti e arruffati, ma è così. L’altra sera ho ascoltato ancora tante parole, ma mi sorgeva, da qualche parte, nella testa, il dubbio che si stia per sbagliare qualcosa. Non dico di no: bisogna aiutarli, fare delle adozioni a distanza è buono e giusto. Però è così facile fare dei danni in queste cose che bisognerebbe stare più attenti. Alcuni volontari esperti dicevano tra l’altro che i bambini non sono abituati a stare nei banchi, che è difficile convincerli a stare fermi. Altri narravano di un serpente ucciso vicino all’erigenda scuola. Altri hanno mostrato fotografie di bambini adottati, col loro vestitino, col pacchetto in mano e l’aria veramente preoccupata. Io mi dicevo: ma sarà il caso? Ma siamo sicuri? E se i bambini africani non imparassero a stare nei banchi sarebbe un male davvero? Ma non sarebbe meglio non ammazzare serpenti nè altre bestie selvatiche, quando si va in questi paesi? Ma sarà il caso di fotografarli vestiti come piace a noi, col "nostro" regalo in mano? Non è che noi abbiamo il dovere di dare a loro senza desiderare nè di essere riconosciuti, nè di avere una foto con cui poterci vantare del bene fatto?
Un altro volontario ha detto: "E’ una goccia nel mare, ma è fatto con tanta buona volontà". E a me è venuta in mente una frase di Primo Levi che dice più o meno: "Agli uomini di buona volontà è promesso il regno dei cieli, ma guai a fidarsi degli uomini armati SOLO della buona volontà. Il nostro mondo si fa sempre più complicato e l’analisi dei rischi, palesi e occulti, dovrebbe far parte del bagaglio culturale di tutte le persone" (in "L’altrui mestiere"). Il rischio di far danno è grande quanto la necessità di intervenire. Prima si studia e poi si opera.
martedì 10 aprile 2007
Recensisco "300"

Vale la pena riferire la trama? Per chi non lo sapesse Leonida è il boss di Sparta, la quale è una città-stato alla maniera dei vecchi ellenici. A Sparta sono tutti molto spartani, salvo che nell’estetica, la quale è molto curata… Ma questo è un altro discorso.
Si presenta un bel giorno un emissario di Serse, re dei re. Vorrebbe discutere la resa di Sparta ma si distrae e manca di rispetto. Morale: il re in persona lo catapulta giù da un pozzo. Leonida sa che non può, lui e la piccola Sparta, battere l’armata enorme di Serse, allora congegna di aspettarlo alle Termopili che sono (pare) una gola strettissima attraverso cui s’arriva in Grecia. Un piccolo esercito può valere quanto un grande esercito. Ma non si può muovere battaglia poiché gli Efuri (come dei Giulianoferrara, ma più socievoli) che traggono auspici e si sollazzano con le giovani fanciulle, dicono che non è il momento. Leonida raduna i 300 (giovani e forti, tipo Sapri) e parte lancia in resta verso le Termopili, non prima di aver dato motivo a un deforme fuori misura di desiderare la fine di Sparta e di progettarne relativo tradimento (dimostrando che il pregiudizio spartano sui nati deformi era pure corretto...).
Per via si uniscono agli ateniesi, brava gente ma poco irsuti. In ogni caso vanno al loro destino. Dopo un tot di sputizzamenti e sanguinamenti e decapitazioni e amputazioni varie Leonida incontra di persona Serse, gigantesco re-dio di Persia, ma l’incontro non ha buon seguito. Il deforme li tradisce rivelando un passaggio segreto. Non si sa come i greci vengono a sapere del tradimento, gli spartani restano fedeli alla consegna, gli ateniesi, col benestare degli spartani, stanno ai primi danni e si ritirano. Intanto a Sparta c’è chi maneggia per trattare nientemeno che la pace e nel frattempo si trastulla con la moglie di Leonida. Ma questa donna, forte e volitiva, uccide il marrano, svelando il tradimento (aveva preso denari da Serse per trattare la pace). Intanto alle Termopili Leonida manda un suo soldato a casa coi saluti da parte sua, che ha un impegno, che per un po’ non torna. Accoglie quindi Serse e i suoi orrendi soldati-mostri sorridendo e viene infine trafitto da un tot di frecce, raggiungendo l’aldilà da eroe, come s’era proposto. Lieto fine, quindi.
La critica: una bestialità pazzesca. Questo accade a trasferire di linguaggio una narrazione che dovrebbe al più essere orale riportata dai vecchi intorno al fuoco, in narrazione cinematografica, con incredibili effetti speciali. Gli spartani sono belli, alti, atletici, muscolosi e aitanti come certi modelli pieni di steroidi. Tutti col loro costumino very short: una bellezza! La moglie di Leonida è una bellezza puro lei. Ben pettinata e truccata come si deve. A ogni inquadratura cambiava orecchini. Gli ateniesi sono passabili (esteticamente) e si distinguono dai troiani solo per via del mascara che questi ultimi portano. I persiani sono tutti brutti, stupidi e cattivi. Si presentano a duello contro uno spartano, durante la battaglia, a braccia larghe, immobili, aspettando la spadonata e poi crollano al suolo miseramente.
Comunque per tutto il film gli spartani parlano della loro “nazione” (concetto che non esisteva, allora), del fatto di essere “uomini liberi” (che avevano un re), della patria, del dovere e dell’onore. Sembrava di essere ad un raduno degli amici di J. V. Borghese… Sparta, aiutata marginalmente da Atene, difendendo la Grecia difende tutto il mondo civile dall’attacco degli incivili persiani. Se uno mette USA al posto di Sparta, Europa al posto di Atene e Iraq al posto di Persia il gioco è fatto… (non per niente si tratta di una produz. americana) e in più il “traditore” è colui che tratta la pace…
Dispiace che molti giovani percepiscano così che la guerra è bella, eroica, giusta, sana, divertente, senza danni collaterali… Io per me, un film così lo vieterei ai minori.
Ah! Un’ultima cosa: ‘e basta con le scene d’addio in mezzo al campo di grano quasi maturo!! Ma se esce il contadino vedi come li fa filare quei tronfi pieni di steroidi!!
Si presenta un bel giorno un emissario di Serse, re dei re. Vorrebbe discutere la resa di Sparta ma si distrae e manca di rispetto. Morale: il re in persona lo catapulta giù da un pozzo. Leonida sa che non può, lui e la piccola Sparta, battere l’armata enorme di Serse, allora congegna di aspettarlo alle Termopili che sono (pare) una gola strettissima attraverso cui s’arriva in Grecia. Un piccolo esercito può valere quanto un grande esercito. Ma non si può muovere battaglia poiché gli Efuri (come dei Giulianoferrara, ma più socievoli) che traggono auspici e si sollazzano con le giovani fanciulle, dicono che non è il momento. Leonida raduna i 300 (giovani e forti, tipo Sapri) e parte lancia in resta verso le Termopili, non prima di aver dato motivo a un deforme fuori misura di desiderare la fine di Sparta e di progettarne relativo tradimento (dimostrando che il pregiudizio spartano sui nati deformi era pure corretto...).
Per via si uniscono agli ateniesi, brava gente ma poco irsuti. In ogni caso vanno al loro destino. Dopo un tot di sputizzamenti e sanguinamenti e decapitazioni e amputazioni varie Leonida incontra di persona Serse, gigantesco re-dio di Persia, ma l’incontro non ha buon seguito. Il deforme li tradisce rivelando un passaggio segreto. Non si sa come i greci vengono a sapere del tradimento, gli spartani restano fedeli alla consegna, gli ateniesi, col benestare degli spartani, stanno ai primi danni e si ritirano. Intanto a Sparta c’è chi maneggia per trattare nientemeno che la pace e nel frattempo si trastulla con la moglie di Leonida. Ma questa donna, forte e volitiva, uccide il marrano, svelando il tradimento (aveva preso denari da Serse per trattare la pace). Intanto alle Termopili Leonida manda un suo soldato a casa coi saluti da parte sua, che ha un impegno, che per un po’ non torna. Accoglie quindi Serse e i suoi orrendi soldati-mostri sorridendo e viene infine trafitto da un tot di frecce, raggiungendo l’aldilà da eroe, come s’era proposto. Lieto fine, quindi.
La critica: una bestialità pazzesca. Questo accade a trasferire di linguaggio una narrazione che dovrebbe al più essere orale riportata dai vecchi intorno al fuoco, in narrazione cinematografica, con incredibili effetti speciali. Gli spartani sono belli, alti, atletici, muscolosi e aitanti come certi modelli pieni di steroidi. Tutti col loro costumino very short: una bellezza! La moglie di Leonida è una bellezza puro lei. Ben pettinata e truccata come si deve. A ogni inquadratura cambiava orecchini. Gli ateniesi sono passabili (esteticamente) e si distinguono dai troiani solo per via del mascara che questi ultimi portano. I persiani sono tutti brutti, stupidi e cattivi. Si presentano a duello contro uno spartano, durante la battaglia, a braccia larghe, immobili, aspettando la spadonata e poi crollano al suolo miseramente.
Comunque per tutto il film gli spartani parlano della loro “nazione” (concetto che non esisteva, allora), del fatto di essere “uomini liberi” (che avevano un re), della patria, del dovere e dell’onore. Sembrava di essere ad un raduno degli amici di J. V. Borghese… Sparta, aiutata marginalmente da Atene, difendendo la Grecia difende tutto il mondo civile dall’attacco degli incivili persiani. Se uno mette USA al posto di Sparta, Europa al posto di Atene e Iraq al posto di Persia il gioco è fatto… (non per niente si tratta di una produz. americana) e in più il “traditore” è colui che tratta la pace…
Dispiace che molti giovani percepiscano così che la guerra è bella, eroica, giusta, sana, divertente, senza danni collaterali… Io per me, un film così lo vieterei ai minori.
Ah! Un’ultima cosa: ‘e basta con le scene d’addio in mezzo al campo di grano quasi maturo!! Ma se esce il contadino vedi come li fa filare quei tronfi pieni di steroidi!!
martedì 3 aprile 2007
Tutto per vivere o tutto per morire

In un film famoso: "Le ali della libertà" tratto da un racconto di S. King, il protagonista, incarcerato con due ergastoli da scontare ingiustamente, dice ad un suo sodale: "Alla fine o fai di tutto per vivere, o fai di tutto per morire". La frase è epica, altisonante, addirittura catartica. Bello, belin, a pensarci bene, mette i brividi addosso. Pensandoci ancora meglio non è proprio così. Anzi, forse non lo è per niente.
Se si potesse vedere, costruire la curva gaussiana che rappresenta l’orientamento della popolazione sulla voglia di vivere o di morire, con, a sinistra, per convenzione, la morte e a destra la vita, si potrebbe forse capire che, come tutte le gaussiane, avrebbe la sua bella forma a gobba, a collinetta. Si, perchè la gente, le persone, mettendole tutte assieme e studiandole, nei discorsi che fanno, in quello che dicono, raccontano, lamentano, sono tutte daccordo che la vita è dura, che è faticosa, tutte fanno mostra, in qualche modo, di tacere vecchie ferite mai spente. Tutti, o quasi tutti, hanno avuto il loro momento in cui, non dico proprio abbiano pensato al suicidio, ma siano stati più "vicini" alla morte che alla vita. Insomma: i "piedi" destro e sinistro della curva sono riservati agli asceti, agli stolti, ai pazzi, ai distratti, ai rivoluzionari, ai credenti profondi. Tutto il resto della popolazione, secondo me, vive in quella condizione di sopportazione della realtà che trova modo (appunto) di sopportare quando è troppo pesante, che spesso non sa godersi quando è soddisfacente.
Non abbiamo mai impiegato tempo e risorse per impararlo e non sappiamo insegnarlo ai nostri amici, questo concetto. Bisognerebbe coltivare di più la capacità di godere dei momenti di pace e di serenità interiore (o esteriore) che ci vengono forniti dall’esistenza. Per farlo, io credo, non è indispensabile essere maghi o asceti. Si potrebbe cominiciare dal memorizzare bene uno stato d’animo, un gusto che uno può sentire in bocca, nel naso, dietro il plesso solare. Capita di rado e non è mai un gusto perfetto, senza sbavature o imperfezioni. Però capita.
Ecco, vorrei dire che questo è il bene. Ed è un bene che uno deve perseguire nella sua vita: soffermarsi a vedere un quadro, una statua, un palazzo, una bella persona, un libro, un meccanismo, una costruzione, un fenomeno fisico o chimico. Cercare il bene in ognuna di queste cose, distillarlo, concentrarlo e metterlo in memoria.
Tutto questo perchè siamo tutti consapevoli del fatto che nella vita ci saranno giorni duri. Non ne sappiamo il motivo, sappiamo che saranno momenti di pianto, di disperazione, di "stridore di denti" come diceva con bella metafora la bibbia. Se siamo armati di bene, se il bene è dentro di noi, nella nostra memoria, non si può dire che non sentiremo male, ma ne sentiremo sicuramente di meno. In quei momenti avremo la consapevolezza che non tutta la vita è così, che non tutta l’esistenza si trascina, vana, tra doveri e regole, routine e consuetudini, talvolta false.
Non perdiamo tempo, allora: troviamo quel che c’è di buono intorno a noi, in tutti i campi. Proprio perchè adesso abbiamo tempo e modo per accumularlo, adesso che la nostra vita non è disperata o esaltante, come la maggior parte delle vite al mondo.
Altro che "di tutto per vivere o di tutto per morire" come dice, appunto, Tim Robbins.
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