
In un film famoso: "Le ali della libertà" tratto da un racconto di S. King, il protagonista, incarcerato con due ergastoli da scontare ingiustamente, dice ad un suo sodale: "Alla fine o fai di tutto per vivere, o fai di tutto per morire". La frase è epica, altisonante, addirittura catartica. Bello, belin, a pensarci bene, mette i brividi addosso. Pensandoci ancora meglio non è proprio così. Anzi, forse non lo è per niente.
Se si potesse vedere, costruire la curva gaussiana che rappresenta l’orientamento della popolazione sulla voglia di vivere o di morire, con, a sinistra, per convenzione, la morte e a destra la vita, si potrebbe forse capire che, come tutte le gaussiane, avrebbe la sua bella forma a gobba, a collinetta. Si, perchè la gente, le persone, mettendole tutte assieme e studiandole, nei discorsi che fanno, in quello che dicono, raccontano, lamentano, sono tutte daccordo che la vita è dura, che è faticosa, tutte fanno mostra, in qualche modo, di tacere vecchie ferite mai spente. Tutti, o quasi tutti, hanno avuto il loro momento in cui, non dico proprio abbiano pensato al suicidio, ma siano stati più "vicini" alla morte che alla vita. Insomma: i "piedi" destro e sinistro della curva sono riservati agli asceti, agli stolti, ai pazzi, ai distratti, ai rivoluzionari, ai credenti profondi. Tutto il resto della popolazione, secondo me, vive in quella condizione di sopportazione della realtà che trova modo (appunto) di sopportare quando è troppo pesante, che spesso non sa godersi quando è soddisfacente.
Non abbiamo mai impiegato tempo e risorse per impararlo e non sappiamo insegnarlo ai nostri amici, questo concetto. Bisognerebbe coltivare di più la capacità di godere dei momenti di pace e di serenità interiore (o esteriore) che ci vengono forniti dall’esistenza. Per farlo, io credo, non è indispensabile essere maghi o asceti. Si potrebbe cominiciare dal memorizzare bene uno stato d’animo, un gusto che uno può sentire in bocca, nel naso, dietro il plesso solare. Capita di rado e non è mai un gusto perfetto, senza sbavature o imperfezioni. Però capita.
Ecco, vorrei dire che questo è il bene. Ed è un bene che uno deve perseguire nella sua vita: soffermarsi a vedere un quadro, una statua, un palazzo, una bella persona, un libro, un meccanismo, una costruzione, un fenomeno fisico o chimico. Cercare il bene in ognuna di queste cose, distillarlo, concentrarlo e metterlo in memoria.
Tutto questo perchè siamo tutti consapevoli del fatto che nella vita ci saranno giorni duri. Non ne sappiamo il motivo, sappiamo che saranno momenti di pianto, di disperazione, di "stridore di denti" come diceva con bella metafora la bibbia. Se siamo armati di bene, se il bene è dentro di noi, nella nostra memoria, non si può dire che non sentiremo male, ma ne sentiremo sicuramente di meno. In quei momenti avremo la consapevolezza che non tutta la vita è così, che non tutta l’esistenza si trascina, vana, tra doveri e regole, routine e consuetudini, talvolta false.
Non perdiamo tempo, allora: troviamo quel che c’è di buono intorno a noi, in tutti i campi. Proprio perchè adesso abbiamo tempo e modo per accumularlo, adesso che la nostra vita non è disperata o esaltante, come la maggior parte delle vite al mondo.
Altro che "di tutto per vivere o di tutto per morire" come dice, appunto, Tim Robbins.
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