L’aria è caldissima, gravida di aromi di minestrone e di cagliata, di settimana enigmistica e candela appena spenta. Le signore tutte intorno si suddividono in due gruppi principali: il primo (e più cospicuo) chiameremo delle ex professoresse, il secondo (più rado e dimesso) delle casalinghe di paese. Tutte comunque vertono sulla sessantina. C’è pure una suora: la si riconosce perché, per motivi incomprensibili, tutte queste vestono dimesso, largo, grigio, con calze spesse e scarpe scure di stoffa, e più ancora perché si fanno scarmigliare i capelli in malomodo, dopo averli fatti tagliare a un qualche sconsiderato incapace. Questa in particolare è magrissima, nervosa, iperattiva. Ha mani lunghissime da pianista mancata. Eppure fini, dalla delicata pelle diafana.
Evidentemente i due dietro la cattedra sono sacerdoti. Uno grigio, aria triste e capelli lunghi e unti. Sguardo ascetico di chi ha visto cose che non può nominare. L’altro sornione, sorridente. Ordinato, degno, ancorato solidamente a terra, diresti vedendolo. Uno è sant’Ignazio, l’altro è san Filippo Neri.
La serata era stata proposta come un’occasione per fare incontrare le associazioni di volontariato della Valle Bormida.
Si comincia con la lettura (“Chi vuole leggere? Chi se la sente?”) di questo “ciclostile” inviato da non si sa chi, stampato da non si sa chi, scritto, a quanto pare, da un gesuita teologo, un luminare. Il documento parla delle crisi del cristianesimo, del fatto che questa può diventare un’occasione per ricostruirla, per riconfigurarla, come la mappatura di una centralina elettronica? come un computer? Per conto mio noto subito una certa povertà di linguaggio, una bassezza di metafore, una piattezza di argomentazioni che denotano, da parte di un teologo gesuita, la convinzione profonda di avere sempre e comunque a che fare con degli stolti. Evangelizzare in una società secolarizzata, ecco un altro tema forte. Ma dove vorrà arrivare? Penso io. Bestiale: cita questa parabola? Metafora? Non saprei: Nel 99 in Francia si abbattè l’uragano Lothar, 300 milioni di alberi furono abbattuti. Gli ingegneri forestali prepararono un piano di rimboschimento ma scoprirono che il bosco aveva già ricominciato a generarsi naturalmente, manifestando una “migliore biodiversità” (… le parole sono importanti ndr).
“Anche la Chiesa” continua il documento, “ha conosciuto da 40 un uragano. Il paesaggio religioso è devastato…”. Quarant’anni fa cos’è successo nella chiesa? Dunque: 2007 – 40 = 1967. Direi il Concilio Vaticano II, quello che ha introdotto la messa in italiano, che ha cercato di aprire la strada al dialogo tra religiosi e quello che ha fatto nascere nella chiesa l’esigenza di adeguare la dottrina ai tempi. Quello un uragano? Mah! Io credevo che fossero passi avanti…
Comunque la lettura (da parte di una ex professoressa impettita, occhiale raffinato, collanina d’oro sopra il maglioncino morbido) viene spesso interrotta di Ignazio di Loyola che chiosa, esplica, chiarifica. Alla lettura si alternano le professoresse. Le cattoliche si riconoscono perché quando sono in presenza di un prete non accavallano mai le gambe, neanche se hanno i pantaloni. Ginocchia unite, mani conserte. Ferme. Magari a casa, a scuola, nella vita di tutti i giorni no. Ecco a che punti il condizionamento.
La lettura prosegue con la “Piccola grammatica per una pastorale della pro-creazione” (a me i giochi di parole puzzano di bruciaticcio lontano un miglio…).
Ignazio di Loyola continua a porre questioni massime: come mai ci sono sempre meno fedeli, come mai i giovani preferiscono andare al bar, bere, incontrare amici e ragazze di facili costumi, ridere e parlare dei loro problemi piuttosto che venire qui a sentire questo odore, questa aria viziata e parlare della fede e delle questioni pastorali in cui il nuovo millennio propone davanti all’uomo come creatura di Dio nel contesto di una religione vissuta come atto d’amore quotidiano, un darsi che è un prendersi, un prendersi che è un darsi e così via… Lo stesso Ignazio segnala come sia buono che i giovani abbiano fatto rinascere ad esempio la tradizione del cantare le uova, ecco, dice, quando si attraversano momenti difficili in cui rischiamo di perdere le nostre origini, riscoprire le proprie tradizioni è senz’altro un’ottima cosa. E a me viene in mente Guzzanti, il suo finto “spot” in cui diceva, più o meno: non sai chi sei? Non sai da dove vieni? Allora, dai! Mettiti dei buffi costumi e rispolvera le antiche stupide tradizioni! Quando si balla il saltapicchio? Dove si balla il manfrinotto?
11 commenti:
L'ho già detto che mi chiamano "mangiapreti"?
No comment!
Anzi, quasi quasi aspetto che posti la seconda parte poi ci ripenso...
ciauz
Fenomenale la descrizione iniziale del luogo e delle carampane presenti.
Eravate a Cengio dove fanno la castagnata di solito ?
A quando la II parte.
Ciao
Lory: attendo commenti.
Anonimus: perchè vuoi saperlo?
Ciau a tutti
Me
non sono anonimo sono Andrea sono che è un casino intervenire in modalità non anonima.
ciao
Guarda come si fa per non essere anonimi: scrivi tutto il messaggio e poi in fondo scrivi:
Alessandro Marenco
(oppure N. Bixio, se è il caso...)
Ciau
Marenco
ok ma ero di volata, ciao
Nino Bixio
Nino, sii serio, con tutti gli attacchi e battaglie che abbiamo ancora da fare...
Rispondi "obbedisco" come ti ho insegnato!
G. G.
ero di volata perch� avevo appuntamento con una certa Anita poi magari te la presento...
Non dovreste parlare così, potreste ispirarmi nuove cose interessanti da scrivere...
scrivi scrivi è sempre molto interessante
C.A. Ciampi
Allora? basta neh! Come titolare del blog mi sento il diritto di mettervi a posto!!
Tutti zitti, ognuno al suo posto e mani sul banco!
Andrea portami il diario!
Adesso vi metto a posto!
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