mercoledì 23 febbraio 2011

Tutti a Tavola


Sono seduto a tavola. Davanti a me c'è un pollo arrosto appena uscito dal forno. E' profumatissimo e croccante, bene arrostito. Vicino ho un piatto di patate al forno. Belle arrostite. Mi sono guadagnato tutto: ho lavorato, ho accumulato soldi, li ho investiti bene, e adesso mi godo il frutto di quest'impegno. Uno splendore. C'è tanto da mangiare che mi cade persino un po' di roba dal piatto, e io non faccio neanche la fatica di raccoglierla.
All'altro capo del tavolo, a circa un metro da me, ci sono una decina di persone. Sono nate tutte in una baracca, hanno perso fratelli appena nati, d'inedia, chè la mamma non aveva latte. La madre aveva l'AIDS e non ha fatto in tempo a coccolarli. Hanno cominciato a lavorare a cinque anni, alcuni in miniera, altri a cucire scarpe o palloni. Sono cresciuti nell'ignoranza e nella miseria. L'unico cenno di umanità è stata quella che gli hanno dato delle scuole coraniche, insegnando a memoria e senza ragionamento l'appartenenza a una nazione, a un dio, a una terra e ad un sangue. Una retorica che fa presa dappertutto.
Ora, io mi aspetto che questa gente abbia rispetto per il mio lavoro e il mio pollo arrosto profumato. Io credo di aver diritto di mangiarlo e non dividerlo con nessuno. O magari posso dar loro le ossa da raccogliere, o gli scarti, quando sarò sazio.
D'altra parte sono dei barbari: gente senza civiltà. Basta pensare che bevono l'acqua dei pozzi, sporca di terra, tant'è vero che poi muoiono di dissenteria. Non sono neanche capaci a scegliere l'acqua minerale al supermercato. Barbari!

Cosa ci fa suppore che un uomo che vive nella miseria sia disposto a continuare a vivere in una regola dettata da chi ha l'eccesso (perchè anche durante la crisi economica, noi siamo all'eccesso)?

Le soluzioni possono essere: erigere muri tra me e i miseri (i muri proteggono dai barbari, ma mi impediscono di vedere e di muovermi. E i barbari restano dietro al muro, irrisolti). Oppure "si prende atto", come dicono i politici, e si pensa a soluzioni di ampio respiro e di lungo periodo, tamponando l'emergenza alla meno peggio.

Oppure... Oppure vivacchiamo. E i politici quando si presenta il problema su scala impressionante (come fra poco) ci mostreranno i loro sforzi per rendere più sicure le strade, per consentirci di mangiare il nostro pollo arrosto in faccia ai morti di fame.

venerdì 18 febbraio 2011

A me non è piaciuto.


A me non è piaciuto. L’apologia della nazione, della patria e della bandiera, attraverso il Risorgimento e le sue passioni romantiche è una questione molto popolare, anzi: nazional-popolare. Della stessa retorica si sono serviti (all’occorrenza) comunisti e fascisti.
Stamattina ho raccolto le impressioni di alcuni amici e colleghi: tutti colpiti dalla grande eruditezza del comico. È piaciuto a tutti. Erudito? Ma non è “erudito”! è piuttosto un “animale da palcoscenico”, uno che affabula, affascina. Una persona che riesce a magnetizzare la sala. Ma non è un erudito. Non è neanche uno storico, non è un ricercatore o uno studioso. Quel che ha magistralmente raccontato è la (parzialissima) versione della cronologia storica italiana di una parte del Risorgimento.
“L’inno degli italiani” è una canzone che rappresenta l’unità italiana, e va bene. Ma che sia un’opera poetica strabiliante… ce ne corre. Su quelle note e quelle parole, molti si sono lasciati uccidere, molti sono stati mandati a morte. Sulla visione tutta romantica, adottata dal Risorgimento, per cui la morte, soprattutto quella eroica, è bella e desiderabile, soprattutto per la propria patria, su quella visione, dicevo, milioni di contadini sono stati poi mandati a morire malamente sul Carso, per guadagnare qualche metro di rocca secca e sterile (ma anche se fosse stata terra fertile, non ne sarebbe valsa la pena). “Siam pronti alla morte” ? Davvero? Noi italiani siamo pronti a morire per l’Italia? Quasi sicuramente si, perché siamo quasi sicuri che nessuno ce lo chieda. Se invece ci chiedessero una cosa debita e quotidiana, come pagare le tasse, pretendere diritti, compartecipare alla vita civile, combattere l’ingiustizia, allora no, non ci stiamo: troppo impegnativo.
Ho visto la platea di Sanremo applaudire al bravo comico. Bene, un altro successo della retorica. Un po’ mi dispiace, perché è segno di immaturità. Ma poi penso come diceva Ortega y Gasset che la “Retorica è il cimitero delle attività umane, o tutt’al più ne è l’ospedale degli invalidi”. Tutto finisce lì.
L’Ottocento è stato il secolo delle grandi trasformazioni, in cui le nazioni si sono definite e da cui sono nate le più terribili guerre dell’umanità. Milioni di persone, in Italia, sono andate e tornate dall’America, alla ricerca di qualcosa di meglio.
Mi par di ricordare che i contadini fossero alla fame, e alla fame restarono per anni e anni. Ogni tanto lo stato italiano risorto li richiamava e li spediva a combattere in Africa, sul Carso o non so dove. Poi venne il fascismo a blandirli, anche ad (effettivamente) aiutarli (causando infine più danni che altro e promuovendo poi in realtà solo l’industria, lasciando l’agricoltura nelle mani dei pochi latifondisti). E gli operai nelle fabbriche, a sfinirsi di lavoro, donne e bambini a quattordici ore al giorno. Il Risorgimento? Forse è solo una convenzione, un’idea retorica da usare secondo le necessità del momento.

martedì 15 febbraio 2011

Un altro libro nuovo


L'avevo scritto per lui, quasi per prenderlo un po' in giro, e un po' per fargli dei complimenti, per ringraziarlo in modo non banale.
M'è sfuggito prima che potessi.

Ho concluso la procedura e l'ho stampato.
La cosa notevole è che la prima e la seconda edizioni sono andate esaurite.
Critiche assolutamente entusiaste da mia madre, da mio fratello, dalla mia vicina di casa (che non l'ha letto, ma è una cara e annosa signora, e va sulla fiducia).
Dicevo tutto esaurito: le 10 copie che ho stampato (in due edizioni separate) sono andate via come una birra gelata a Reykjavik alle 6 del mattino.
Son soddisfazioni...
Si può scaricare e leggere direttamente sul sito degli amici del Consorzio della Quarantina:
Qui: http://www.quarantina.it/pdf/Marenco_Rablon_e_altre_storie.pdf
Si tratta di una raccolta di raccontini.
Io mi son divertito a scriverlo.
E bon.

domenica 13 febbraio 2011

giù le brache!


Dalla Liberazione gli italiani (gli europei) si sono ricostruiti uno Stato. Lungi dall'essere perfetto, ma era il loro Stato, costruito e condiviso. Pieno di difetti, ma era il loro. Poi è venuto giù il muro di Berlino e le cose sono cambiate. Complessivamente in peggio.
Abbiamo cominciato con le partecipazioni statali: via, regalate tutte, anche quelle che rendevano. Poi abbiamo fatto le cartolarizzazioni: venduto immobili ai privati. Via.
Le Poste private, che fino a poco fa ti inseguivano per farti fare investimenti vantaggiosissimi (a capo di qualche finanziaria privata)...
Anche le ferrovie (enormi aree in grandi città che costerebbero uno sproposito).
Beni di famiglia che i nostri ascendenti hanno impiegato anni e anni (più o meno consapevolmente) a costruire, spariti in un soffio, sull'altare del turbomercato.
Per entrare in Europa, ci hanno detto, bisognava correggere il dissesto economico. Ora in Europa ci siamo, e per restarci dobbiamo continuare a vendere i gioielli di famiglia. Il "buon padre di famiglia" (figura citata dal codice civile, come esempio di rettitudine) che lavora poco e male e per risolvere il problema dei debiti col pizzicagnolo vende l'anello, il braccialetto della moglie, la medaglietta della prima comunione dei bambini. Sarebbe un buon padre di famiglia?
E il bello è che si chiamano "economisti"!!
Era molto più economista mio nonno (o i vostri) che doveva cavarsela per sè e per i suoi tre figli e moglie, con 3 bestie nella stalla e due ettari di terra. Sapeva amministrarsi, moderarsi, investire, fare sacrifici, se era il caso. Questi ministri (di centro destra e di centro sinistra) non mi pare abbiano niente di nuovo da proporre.
Per questo non me ne importa niente del bunga bunga. Io lo sapevo da prima che questo qui se ne doveva andare, mica da ora. E' che non c'è nessuno nuovo. E la musica sarà sempre e di nuovo la stessa.
Giù le brache!

mercoledì 9 febbraio 2011

Per non dimenticare. Che cosa?

Per non dimenticare. Che cosa dovrei “non dimenticarmi”?
A scuola hanno chiesto a mia nipote di fare una “relazione” sul film: “Il bambino col pigiama a righe”. Bene, le ho chiesto, l’insegnante intende parlare del film o dei campi di sterminio?
“Non lo so” dice lei.
Il merito, evidentemente, è dell’insegnante, che non sa o non ritiene importante la differenza che corre tra un film e una ricostruzione storica, tra un racconto e la lettura della realtà, tra la storia e la Storia, tra quel che si dice e quel che si studia.
E fa male che sia proprio la scuola la sede in cui accadono queste cose.
Ho visto poche scene del film, e credo (occhio e croce) che sia un bel film, ma inverosimile.
Nel film c’è, ad esempio, un häftling che si attarda in casa dei “padroni” per curare il bimbo che si è ferito seduto, fa il suo lavoro. Entra la moglie dell'SS comandante del campo e lui non alza lo sguardo, non lo abbassa (non si alza in piedi come la sua sciagurata condizione vorrebbe). Poi il bambino col pigiama a righe sta vicino al filo spinato e parla con l’ariano. È altamente improbabile che in un campo sia successa una cosa del genere. I bambini, secondo Levi, in campo erano “uccelli di passo”: venivano uccisi subito o nel giro dei primi giorni.

Era una cosa che ho sempre temuto e che viene fuori sempre più evidente: sostituiremo la storia con la memoria, sostituiremo l’approfondimento con la cerimonia.
“Giornata della memoria: per non dimenticare”. Ma quale memoria? Visto che i reduci non ci sono quasi più? Semplice: la memoria che ci siamo creati noi guardando i film in tv. E questo ci basta. E invece no! I film sono racconti. La realtà sta nei testi, nelle registrazioni, nei libri, negli studi. Per arrivare alla Storia si USA la memoria. Forse l’unica speranza di salvare veramente la storia della Seconda Guerra Mondiale, campi di sterminio e “soluzione finale” compresi, è quella di dimenticare tutto. Rimuovere completamente tutto quello che ci hanno fatto ricordare e, se proprio si vuole, visitare archivi, biblioteche, visionare registrazioni e forse, alla fine, alcuni film.
Se no la Shoah diventa uno spettacolo.