Avrei voluto affrontare questioni minime, su questo blog, ma mi sento invece di parlare di questioni assai più importanti, come il matrimonio e la visione che ne hanno i politici e i religiosi cattolici.
Si dice, si ripete, si scrive ovunque: la famiglia è la cellula fondante della società. Sarà vero? Io non ne sono poi così sicuro. Una società è disgregata, annullata, distrutta, quando non c’è più da mangiare, da bere, da curarsi. Una società non c’è più quando una madre deve abbandonare un figlio per andare a cercare da mangiare. Una società non c’è più quando una persona viene reclusa, torturata, uccisa senza processo, senza motivo, solo a seguito di un’illazione. In uno stato nel quale le persone fossero libere di muoversi e di esprimersi, non rischiassero la morte per inedia, malattia o solitudine, sarebbe una “non-società”? Non credo. Allora: valore fondante della società è la garanzia di condizioni di vita minima dignitosa per tutti. Credo ci siano pochi stati sulla terra che possono vantarsi di corrispondere a questa (personalissima) visione, volendo anche escludere i casi di certi stati centrafricani di oggi o sudamericani di qualche anno fa ai quali pensavo cogli esempi precedenti.
La famiglia, per come viene sottintesa, dovrebbe essere composta da un maschio adulto, una femmina adulta e un numero variabile di figli da uno fino a oltre la decina. Tradizionalmente, si dice, l’uomo lavora fuori casa (procura il cibo), la donna trasforma il cibo procurato, amministra la casa e alleva i figli. Visone schematica, certo. Oggi non è più così. Entrambi i coniugi lavorano, anche l’uomo è in grado di cucinare, far funzionare la lavatrice, allevare i figli, allattarli addirittura. E la donna ha dimostrato nei fatti che può fare (e fa) qualsiasi lavoro che fino a ieri era eminentemente maschile.
La famiglia parrebbe funzionale ad una società agricola: l’uomo coltiva, la moglie trasforma. Con l’era industiale e l’economia di mercato le persone non sono più centri di produzione ma di consumo. Il lavoro che fa lui può essere fatto anche da lei e viceversa. I bambini devono essere affidati ai nonni o a strutture apposite o a baby-sitter. Il matrimonio aveva, un tempo, grande valore commerciale: era importante la dote, il patrimonio, le disponibilità delle famiglie. Potevano tranquillamente non amarsi i due giovani, si sarebbero conosciuti e amati in seguito, l’affetto sarebbe venuto col tempo. Oggi ci si sposa solo se profondamente innamorati (o apparentemente), si fa una scelta di amore e di fedeltà che deve durare tutta la vita. I figli rappresentavano una ricchezza: avere braccia da lavoro che potevano essere mandate a servizio, che potevano aiutare in casa era una gran cosa. Avere femmine era (ed è, nei paesi prevalentemente agricoli in via di sviluppo) una sciagura. Per capire ancor meglio le differenze tra il matrimonio di un tempo e quello di oggi, o meglio le differenze della società, dirò che il reato di violenza carnale era sì punito, ma solo quando si “danneggiava” una vergine. Se questa ambiva a farsi sposare dal violento tutto rientrava. Se no, il violento doveva pagare ed al massimo era bandito dal paese. Un altro dato interessante lo ha fornito (involontariamente) uno studio genetico su una serie di famiglie nella Francia meridionale. Esaminando e incrociando le analisi del sangue di diverse famiglie i ricercatori hanno scoperto che il 20% dei figli nati in famiglia hanno un padre diverso da quello che dovrebbe essere legittimamente (anche qui, purtroppo, non ho pezze d’appoggio).
Un antropologo, infine, qualche giorno fa alla radio, spiegava di quanto la “forma” del matrimonio fosse cambiata nel tempo e nei luoghi. Da quello più “rigoroso” dei coltivatori a quello più “allargato” dei pastori: l’uomo per seguire il gregge sta via mesi e la donna, in paese, ha un marito sostituitivo, che l’aiuta e la veglia, per cui anche il titolare ne è contento (non so più in che paese e in che tempo questo avveniva, ma non mi stupisce). Pure i grandi viaggiatori sono responsabili del rimescolamento genetico che abbiamo al mondo.
Insomma: nella parola matrimonio, famiglia, risedono i significati più disparati. Chi pensa che il matrimonio sia quello rappresentato nei sussidiari, con la moglie intenta a badare alla casa, babbo in poltrona, tornato allora dall’onesto lavor e i figlioletti che giocano (no, in questo caso ‘giuocano’), come sempre generalizzando, si sbaglia. Aggiungiamo ancora che di tanti matrimoni celebrati moltissimi (non saprei in percentuale) non arrivano all’anno. Tanti anche negli anni seguenti e, supponiamo, molti continuano tra mille difficoltà.
Al di là dei DICO e delle polemiche seguenti, direi che politici e religiosi, visto che sono coloro i quali per motivi imperscrutabili ci tengono di più, si diano da fare per capire bene qual è la vera forma della famiglia oggi, se è la famiglia la cellula fondamentale, se forse non sarebbe tempo di occuparsi di precariato, di scuola, di asili, di televisione, di inquinamento, di diritti all’informazione. L’ho già detto in altro post: il problema della famiglia è cosa seria, va bene. Ma se la famiglia in questione è quella di un danaroso capo d’industria o di banca, non è la stessa cosa che una famiglia di un cassintegrato di Vibo Valentia, vi pare?
sabato 31 marzo 2007
giovedì 29 marzo 2007

"Perchè non possiamo essere cristiani e meno che mai cattolici" di PG Odifreddi, Longanesi, 2007.
(Sono a buon punto: non l’ho ancora finito)
Ho trovato questo libro particolarmente interessante. Si tratta di una disamina scientifica, storica, filologica dei testi della religione cristiana in genere, delle affermazioni dei diversi sedicenti titolari, del vaglio logico delle affermazioni contenute nelle espressioni diverse dichiarate e contenute nella bibbia, nei vari scritti dei dottori della chiesa, nelle encicliche, nelle bolle papali.
Tutti questi argomenti, posti sotto la lente della logica, scricchiolano e, molto di sovente, si disfano. E’ quindi un ottimo esercizio per le persone che vogliono mettere alla prova il loro senso critico, la loro fede (se ce l’hanno), la loro capacità di sopportare delle novità inattese…
Non voglio tessere le lodi del matematico impertinente: altri lo faranno meglio di me. Io qui dico che il libro, nel suo insieme, un po’ mi ha deluso: Odifreddi è un ottimo "giornalista", nel senso di divulgatore scintifico-matematico. Rende benissimo quando scrive "corto", entro le poche pagine: fulmineo, coerente, economico, piacevolmente ironico. Quando è chiamato a scrivere testi monografici documentatissimi come questo diventa un pochino (un pochino, neh! Bada bene!) pedante, accademico. Non che per confutare certe tesi non si possa essere meno che scientifici, però vedrei bene (per le prossime opere del genere) una collaborazione con un giornalista o uno scrittore di consumate capacità narrative (come dire, un Eco, piuttosto che un Camilleri, tanto per dire…).
Naturalmente ho torto: le classifiche di vendita dimostrano il contrario.
La delusione cocente arriva dai cattolici: non ho letto o sentito nessuno che abbia criticato il libro di Odifreddi con l’intelligenza che merita. Tanto gli amici cattolici, che si limitano a dare del "superficiale", del "limitato"; quanto insigni figure come il priore di Bose, Bianco, che dalle colonne della Stampa ha detto poco, da disgustato, ma senza motivare dove Odifreddi sbaglia.
Il fatto è che Odifreddi non sbaglia. Il fatto è che non c’è un passo che sia facilmente attaccabile: il matematico in questione è corretto, sagace, attento. Cita i passi biblici, le encicliche, il catechismo. Diciamocelo: ci sono pochissimi cattolici che hanno letto tanto bene tutti i testi religiosi che ha letto il nostro. Questo è da imparare: prima di parlare ci si documenta per bene. Sennò si tace!
Non si può "battere" Odifreddi sul suo campo. Mi aspettavo che un qualche oscuro prete (piuttosto che un serafico francescano) riuscisse a dire un motto, una frase ad effetto che facesse presa sulla gente, più dei piagnistei dei conservatori che denunciano la mancanza di rispetto o chissà quali altri sdegnosi falli.
Io sono cresciuto ed educato nel cattolicesimo. Leggere un libro come quello di Odifreddi è per me sconvolgente, mi fa ragionare su molte cose. Non ho, da parte degli uomini di chiesa, nessuna risposta. La logica, il raziocinio e la scienza mi stanno aiutando molto di più di una novena o di una lettura dei vangeli nel darmi una spiegazione, una descrizione della realtà.
Se dovessi, da cattolico, pensare ad una risposta a Odifreddi, gli direi le parole di don Pollano, vecchio prete-filosofo, conosciuto nel Monregalese: "Gli atei hanno proprio ragione. Ma hanno talmente ragione che hanno solo quello…".
mercoledì 28 marzo 2007
Guerre

Farei, se potessi, una piccola dedica a qualsiasi politico presidente che ritenesse una soluzione efficace quella di portare la giustizia attraverso la guerra.
Con parole non mie, come spesso, chè altri hanno detto queste cose talmente bene che di più non saprei aggiungere.
In piena facoltà egregio presidente
le scrivo la presente che spero leggerà
La cartolina qui mi dice terra terra
di andare a far la guerra
quest'altro lunedì
Ma io non sono qui egregio presidente
per ammazzar la gente
più o meno come me
Io non ce l'ho con lei
sia detto per inciso
ma sento che ho deciso
e che diserterò
Ho avuto solo guai
da quando sono nato
i figli che ho allevato
han pianto insieme a me
Mia mamma e mio papà
ormai son sotto terra
e a loro della guerra
non gliene fregherà
Quand'ero in prigionia
qualcuno m'ha rubato
mia moglie, il mio passato
la mia migliore età
Domani mi alzerò
e chiuderò la porta
sulla stagione morta
e mi incamminerò
Vivrò di carità
sulle strade di Spagna
di Francia
e di Bretagna
e a tutti griderò
di non partire più
e di non obbedire
per andare a morire
per non importa chi
Per cui se servirà
del sangue ad ogni costo
andate a dare il vostro
se vi divertirà
E dica pure ai suoi
se vengono a cercarmi
che possono spararmi
io armi non ne ho.
Il Disertore (Boris Vian, trad. G.Calabrese)
Cantata da Ivano Fossati.
lunedì 26 marzo 2007
osterie di una volta...
A Carcare, dove vivo, c’era una trattoria che era per me la preferita: "Da Beppe, tavola calda". Oddio, la gente, gli amici, guardavano quel posto con circospezione, per non dire con sospetto. Le tendine, gli arredi, i vetri e il servizio non erano quelli dell’Excelsior. Ma a me piaceva proprio per questo. Si prenotava, per cena, perchè era una questione di cortesia prenotare, per non arrivare all’improvviso. Ma se anche si fosse arrivati in 4 o 5 dopo un primo attimo di imbarazzo si sarebbe ugualmente trovato posto. Il locale, basso e antico, era (ed è) ad un passo dal pontino che è il simbolo di Carcare. Una vetrata con una tendina ingiallita riparava da sguardi indiscreti gli avventori. In esposizione c’era uno di quei banchi frigoriferi con ampia vetrata, di quelli usati nei negozi da rosticciere per esporre le pietanze. Riposavano, in questa teca, affettati, formaggi, pesci in carpione. Due cose erano avvenute per cui il locale era diventato mitico: era stato visto un gatto dentro la vetrina che ragionava se addentare formaggio o pesce e un’altra volta dalle tendine era spuntata una mano che brandiva una paletta per le mosche: aveva fatto giustizia sommaria di una squadriglia che stanziava oramai da troppo tempo in vetrina, e si era repentinamente ritirata, lasciando le carcasse al suolo, ovvero sul fondo del banco frigo. Non è detto che queste cose siano successe per davvero, ma davano al locale un’aura misteriosa ed epica che non sfigurava col resto. Superato un corridoio buio si entrava in un vestibolo adornato di un paio di tavolini con regolare tovaglia a quadroni, stufa a legna perline di pino alle pareti. Mi pare di ricordare anche lo sguardo attonito di qualche martora o furetto imbalsamati appesi sul muro. Oltre a questo vestibolo (zona riservata agli abitueè del locale, ai giochi di carte, ai discorsi di politica), oltre un arco a tutto sesto imbiancato, c’era la vera sala da pranzo: due tavoli più lunghi, il soffitto basso, fotografie ingiallite alle pareti ritraevano cantate posteriori a mangiate e bevute luculliane. In primo piano un figuro alzava il bicchiere con le fauci spalancate, mostrando la desolazione di un unico dente. Altri ridevano. Su foto vicine si esibivano funghi epici, cinghiali, galli che fumavano, pupazzi di neve colossali. Ci si sedeva ed in breve arrivava Beppe con la sigaretta accesa. Faceva un sommo elenco di quel che c’era (grossomodo pasta, ravioli, braciole, salsiccia, pollo, insalata, patate) e del vino disponibile: dolcetto o barbera. Mentre illustrava si fermava a considerare il piatto vuoto sul vostro tavolo. Stupito lo prendeva in mano, si spostava un po’ più sotto il neon, lo grattava appena con l’unghia, sorrideva soddisfatto e lo rimetteva in tavola. Prendeva gli ordini, spariva e a breve tornava per farti assaggiare una pancetta di un suo amico, un salame di un altro, una formaggetta di una sua parente. E intanto I ravioli cuocevano. Al momento del conto Beppe si imbarazzava pure un po’: "Eh, cari ragazzi, mi tocca chiedervi 11.000 lire perchè avete preso il barbera…" (parliamo di tempi nei quali in pizzeria si spendevano ALMENO 20-25.000 lire).
Io ci andavo con vera gioia, in questo locale. Non NONOSTANTE non fosse pulito alla perfezione, ma proprio perchè non lo era, proprio perchè era a misura d’uomo, casalingo e antico come mi meritavo che fosse il locale dei miei "sogni". Era una "piola" un "osto" all’antica. Una sera il padrone mi aveva detto di aver scoperto che quel locale era là perlomeno dal ‘700. Ma forse anche da prima. Ma adesso era costretto a chiudere. Un po’ per l’età e un po’ perchè per adeguarlo alle nuove norme sarebbe stata una spesa esagerata. E ora non c’è più. Al suo posto (o meglio, di fronte) hanno aperto un ristorante molto bello dove, si dice, si mangia benissimo: elegante, ordinato, dove a buon patto si pranza degnamente. Ma io, nonostante tutto, preferivo quell’altro.
Infine vorrei augurarmi di trovare un altro locale come "Da Beppe" in Valle Bormida, per fare questo ho bisogno di visitarne molti con una degna compagnia. Ebbene, il mio amico specialista di gastronomia e varie altre cose ha un contrattempo, appena lo avrà risolto ci metteremo in caccia… Vi faremo sapere!
Io ci andavo con vera gioia, in questo locale. Non NONOSTANTE non fosse pulito alla perfezione, ma proprio perchè non lo era, proprio perchè era a misura d’uomo, casalingo e antico come mi meritavo che fosse il locale dei miei "sogni". Era una "piola" un "osto" all’antica. Una sera il padrone mi aveva detto di aver scoperto che quel locale era là perlomeno dal ‘700. Ma forse anche da prima. Ma adesso era costretto a chiudere. Un po’ per l’età e un po’ perchè per adeguarlo alle nuove norme sarebbe stata una spesa esagerata. E ora non c’è più. Al suo posto (o meglio, di fronte) hanno aperto un ristorante molto bello dove, si dice, si mangia benissimo: elegante, ordinato, dove a buon patto si pranza degnamente. Ma io, nonostante tutto, preferivo quell’altro.
Infine vorrei augurarmi di trovare un altro locale come "Da Beppe" in Valle Bormida, per fare questo ho bisogno di visitarne molti con una degna compagnia. Ebbene, il mio amico specialista di gastronomia e varie altre cose ha un contrattempo, appena lo avrà risolto ci metteremo in caccia… Vi faremo sapere!
domenica 25 marzo 2007
La scienza è trattabile?

Mina, sulla Stampa di oggi, commenta un fatto accaduto a Siracusa: un genitore ed un alunno hanno picchiato un insegnante a causa di un brutto voto. Mina dice cose corrette nella maniera giusta. La scuola riflette la società: non è colpa del figlio che non studia, se prende 4, ma è colpa dell’insegnante che non lo aiuta. Cerchiamo sempre di attribuire responsabilità vicine o lontane ma comunque diverse da noi: siamo diventati abilissimi in questo.
Mi piace aggiungere una cosa appena sfiorata da Mina: si è fatto strada in questi anni il concetto che ognuno abbia necessariamente il diritto di dire la sua su qualsiasi argomento. La concezione si è tanto diffusa da diventare un’istanza dei medici omeopati verso la Legge, avverso Piero Angela: quest’ultimo, dicevano gli omeopati, ha pubblicamente detto che l’omeopatia non ha nessuna prova scientificamente apprezzabile in favore del suo funzionamento, anzi, nelle soluzioni omeopatiche spesso non c’è nulla, e tutto questo senza contraddittorio. Ecco, appunto: non c’è contraddittorio nella scienza, c’è la dimostrazione. Ad oggi, con quello che sappiamo e che ci consente di far funzionare i processi chimici industriali, l’omeopatia non ha consistenza scientifica. Non è una opinione: è una verità scientifica. Insomma, rassegnamoci, la scienza non è trattabile, come la politica o come le opinioni diffuse nei programmi televisivi pomeridiani. Se si afferma che non si può scendere al di sotto dei -273° C (zero assoluto) c’è il suo bel motivo. Se uno dice di saper raggiungere i -300° mente. Perché? Chiedetevelo. Se non lo sapete scrivetemi che ve lo dico. Ma la scienza è metodo, studio, applicazione. Non, certamente, libera disquisizione basata su impressioni personali. Occorre quindi construirsi un portafoglio minimo di competenze per capire quello che ci propinano pubblicitari o politici e ragionarci sopra. Parimenti si possono sostenere gli stessi limiti di discutibilità in altri ambiti: un nazista non ha diritto di parlare, perché la democrazia (pur con tutti i suoi limiti) è meglio del nazismo. O no?
Mi piace aggiungere una cosa appena sfiorata da Mina: si è fatto strada in questi anni il concetto che ognuno abbia necessariamente il diritto di dire la sua su qualsiasi argomento. La concezione si è tanto diffusa da diventare un’istanza dei medici omeopati verso la Legge, avverso Piero Angela: quest’ultimo, dicevano gli omeopati, ha pubblicamente detto che l’omeopatia non ha nessuna prova scientificamente apprezzabile in favore del suo funzionamento, anzi, nelle soluzioni omeopatiche spesso non c’è nulla, e tutto questo senza contraddittorio. Ecco, appunto: non c’è contraddittorio nella scienza, c’è la dimostrazione. Ad oggi, con quello che sappiamo e che ci consente di far funzionare i processi chimici industriali, l’omeopatia non ha consistenza scientifica. Non è una opinione: è una verità scientifica. Insomma, rassegnamoci, la scienza non è trattabile, come la politica o come le opinioni diffuse nei programmi televisivi pomeridiani. Se si afferma che non si può scendere al di sotto dei -273° C (zero assoluto) c’è il suo bel motivo. Se uno dice di saper raggiungere i -300° mente. Perché? Chiedetevelo. Se non lo sapete scrivetemi che ve lo dico. Ma la scienza è metodo, studio, applicazione. Non, certamente, libera disquisizione basata su impressioni personali. Occorre quindi construirsi un portafoglio minimo di competenze per capire quello che ci propinano pubblicitari o politici e ragionarci sopra. Parimenti si possono sostenere gli stessi limiti di discutibilità in altri ambiti: un nazista non ha diritto di parlare, perché la democrazia (pur con tutti i suoi limiti) è meglio del nazismo. O no?
sabato 24 marzo 2007
parole in cucina

Quando cucinano creano. Non mettono: dispongono. Non servono: impiattano. Non passano in padella ma spadellano (e la cosa mi ha sempre ricordato l’atto del sottrarre ben altra padella dal letto di un anziano ammalato…). Ti spiegano che è fondamentale il territorio e lo dicono con una protervia che neanche un generale nazista quando parlava della Polonia prima del ’38. Fanno cucina povera con astici, mazzancolle, pasta tirata a mano, aglio di trondedio, pomodorini coltivati al sommo dell’Etna. Io non sopporto tutto questo manico che fanno i moderni cuochi mentre scaldano qualcosa. Penso alle mie zie, a mia madre, a mia suocera, lo hanno fatto e lo fanno: preparano un pranzo per otto, dieci persone senza fare una piega. Insalata russa, peperoni con l’acciuga, uova ripiene, ravioli e tagliatelle, bollito e arrosto, patate e carote. E il budino. E apparecchiano e sparecchiano e lavano i piatti. Cosa dovrebbero dire loro? Che lingua dovrebbero usare per descrivere quel lavoro? Il grande cuoco fa tre (3!) ravioli e li condisce con un sospetto: spadella, impiatta, dispone. Poi mette un ciuffetto di erba sbrodolina… Ma va’ a quel paese, va! Le nostre signore facevano kilogrammi di ravioli senza colpo ferire, usando quello che avevano. Perché l’altro miracolo era questo: senza negozi e senza supermercati, senza aglio di Castelrotto o pomidoro di Valburetta, ma con l’aglio del proprio orto, con le verdure di stagione, le uova di un vicino di casa che non avevano bisogno di timbri e autorizzazioni. Tornate a scuola di umiltà, e soprattutto, impariamo a fare da mangiare in casa nostra senza badare agli sbrodolamenti, facciamoci spiegare dalle nostre madri come si fanno i ravioli. Altro che mazzancolle…
Le case nel bosco
Oggi ho terminato la ripulitura grossolana di due meli, che qui (a Giusvalla) sono ancora fermi e poi ho fatto una passeggiata portandomi dietro la videocamera nuova. Sono salito su per la collina dietro casa, verso la cascina di Linardin, disabitata da una trentina d’anni. Ho filmato la casa, il silenzio, le erbe mosse dal vento. Le finestre sfondate colorate dai mattoni rossi, dalle pietre, dai licheni che le decorano. Il legno di castagno all’aperto diventa grigio, a tratti bruno di tannino cavato in superfice da qualche goccia d’acqua piovana. Eppure, pensavo, questa casa così misera ha molto da raccontare. Nelle sue due stanze si sono avvicendati generazioni di contadini. Sono nati e morti chissà quanti boscaioli, agricoltori, carbonai. Quanta strada hanno fatto verso la Francia, la Riviera, la città. Come avranno visto i soldati francesi, tedeschi, americani, partigiani passare di qui?
Sotto ci sono le larghe fasce che mi pare di ricordare coltivate a ortaggi e fieno, a rotazione. Bagnate con l’acqua della bialera. Oltre quel solco erano della mia famiglia, ma poi, di successione in successione, sono passati a qualcuno che non conosco, e ora le erbacce, le robinie, le prugne selvatiche se le riprendono. Ma quanta fatica per strappare un campo ad un fianco di collina?
Sopra la casa c’era una bella costiera esposta al tramonto. Poca terra piuttosto chiara con ampie bancate di marna e un conglomerato friabile, composto da tanti ciottoli tondi. Ci sono molte roveri grandi e alte. Ma le robinie si fanno avanti e prendono il posto dei pochi pini quasi tutti crollati al suolo, forse per malattia, forse per incapacità a radicare in questa poca, tenera terra. La strada che sale nel bosco è diventata un rittano asciutto. Neppure un trattore potrebbe salire fino da Baciura. A piedi ci si arriva in un attimo. Come tutte le case era stalle di sotto e cucina e camera di sopra. Il tetto ha ceduto sotto le impietose gocce d’acqua. E’ crollato, portandosi dietro muri, arredi, solai. Solo il fienile è ancora in piedi.
Tutto intorno si leggono benissimo le fasce, i solchi, i sentieri. Anche se oramai tutto torna al bosco. Di lato alla casa la marna che affiora impedisce alle erbe e agli alberi di attecchire e di crescere. Nelle stagioni più giuste, fra i ginepri e i pini nani ci sono i sanguini. E sulla costa, sotto i cerri, i funghi neri, che soddisfano ancora oggi mia madre. Ho filmato anche questa casa. Pochi fotogrammi, qualche minuto. Inquadrature fisse di finestre, scale rotte, tetti sfondati. Ho pensato che continuerò a raccogliere queste istantanee delle case intorno alla mia, case che ricordo abitate o appena abbandonate ch’ero bambino, e ora quasi diroccate. Io mi ricordo quasi sempre i nomi e le storie delle persone che vi hanno abitato, è una traccia che devo lasciare, non so a chi o perchè, forse perchè lo sento come un dovere, come dire a quelle persone: "Tutto sommato non hai vissuto e faticato invano, vedi: io mi ricordo di te", e fare questo perchè infine mi sento anche figlio loro.
venerdì 23 marzo 2007
Recensisco "Saturno contro" di F. Ozpetek

Il film racconta una vicenda abbastanza semplice, incentrata sui rapporti esistenti o interrotti di una tribù di quelle che tanto piacciono a questo regista (v. "Le fate ignoranti"). Evento centrale è la morte improvvisa per cause naturali del giovane protagonista. Intorno a quello maturano pensieri, debolezze, propositi, bilanci personali. Gli attori sono efficaci: giovani, belli e in carriera, con l’eccezione di Fantastichini, della cospicua signora colorata (alter ego di Ozpetek), forse di Ambra, che interpreta una tossicodipendente, messa in brutale confronto con l’infermiera Milena Vukotic, efficace, bravissima.
Il film è piacevole, commovente. Fa pensare a molte cose: a chi resta dopo la morte, alla vita di coppia, alle famiglie allargate e allungate, all’omosessualità, alla "nuova" tossicodipendenza, pulita e dalla faccia rispettabile. Le inquadrature sono ben studiate, non troppo banali. Alcune trovate rendono tutta la storia più fruibile (la matrigna a Fantastichini: "Anche lei è gay?" "No, io sono all’antica, io sono frocio!").
Però (prima o poi c’è sempre un però…) non riesco a riconoscere il mondo come lo vede Ferzan. Sarebbe bello, si, ma non è così. Voglio dire che nelle sue storie succede che quando il protagonista è triste, depresso, abbattuto, va, e si rifugia nella sua casa di campagna vista mare, nella villa con la piscina inutile (è inverno) dove ricordare tempi migliori. E infatti quando uno è un po’ triste cosa c’è di meglio che crogiolarsi nella vaga tristezza, in una comoda villa, con tanto di servitù (magari, non è questo il caso…). Una delle cose tristi, quando ti manca il partner, è che la vita continua, e uno se ne accorge proprio nelle maledette incombenze quotidiane, e non si ha il tempo (o le possiblità) di andare in villa.
Anche sul tema dell’omosessualità vale la pena ripetere una cosa che ho già detto: il vero problema sono, come al solito, i soldi. Dolce e Gabbana sono accettati da tutti, posso sposarsi, adottare una famiglia intera, cambiare casa cento volte. Possono e basta. Un mio amico che lavora in vetreria è tollerato, tutt’al più. Non può neppure pensare di andare a convivere: il paese è piccolo e la gente…
Allora, Ferzan, quali sono i termini del problema?
Il film è piacevole, commovente. Fa pensare a molte cose: a chi resta dopo la morte, alla vita di coppia, alle famiglie allargate e allungate, all’omosessualità, alla "nuova" tossicodipendenza, pulita e dalla faccia rispettabile. Le inquadrature sono ben studiate, non troppo banali. Alcune trovate rendono tutta la storia più fruibile (la matrigna a Fantastichini: "Anche lei è gay?" "No, io sono all’antica, io sono frocio!").
Però (prima o poi c’è sempre un però…) non riesco a riconoscere il mondo come lo vede Ferzan. Sarebbe bello, si, ma non è così. Voglio dire che nelle sue storie succede che quando il protagonista è triste, depresso, abbattuto, va, e si rifugia nella sua casa di campagna vista mare, nella villa con la piscina inutile (è inverno) dove ricordare tempi migliori. E infatti quando uno è un po’ triste cosa c’è di meglio che crogiolarsi nella vaga tristezza, in una comoda villa, con tanto di servitù (magari, non è questo il caso…). Una delle cose tristi, quando ti manca il partner, è che la vita continua, e uno se ne accorge proprio nelle maledette incombenze quotidiane, e non si ha il tempo (o le possiblità) di andare in villa.
Anche sul tema dell’omosessualità vale la pena ripetere una cosa che ho già detto: il vero problema sono, come al solito, i soldi. Dolce e Gabbana sono accettati da tutti, posso sposarsi, adottare una famiglia intera, cambiare casa cento volte. Possono e basta. Un mio amico che lavora in vetreria è tollerato, tutt’al più. Non può neppure pensare di andare a convivere: il paese è piccolo e la gente…
Allora, Ferzan, quali sono i termini del problema?
giovedì 22 marzo 2007
Extracomunitari ed extrastupidi

Non ne posso quasi più di sentire discorsi da bar sugli albanesi, rumeni o marocchini. Non ne posso più di sentire generalizzazioni gratuite, semplici, superficiali portate avanti con tanta sicumera, da uomini di mondo che conoscono più o meno la loro bottega e di altro non s’interessano. Non ne posso più di non sentire l’unica classificazione umana che abbia un senso: ricchi e poveri.
Detto questo: I razzisti hanno torto per due ordini di motivi: uno scientifico e uno logico.
Quello scientifico:
La razza umana è una: homo sapiens sapiens. Non ce ne sono altre. Esistono I "tipi" (caucasico etc) ma non le razze. Inoltre: ognuno di noi ha due genitori, 4 nonni, 8 bisnonni etc. etc. Risalendo indietro di qualche migliaio di anni prima di noi sono vissuti decine di migliaia di uomini. Ora: come è possibile se l’umanità era (migliaia di anni fa) moooolto meno numerosa di oggi? Insomma: siamo più "parenti" di un albanese a caso di oggi che di un nostro avo di 2000 anni fa.
Quello logico:
Le generalizzazioni sono sempre sbagliate. "Tutti gli aviatori sono xxxx" dove per xxxx c’è un pregio o un difetto è una preposizione sbagliata, perchè tutti gli aviatori sono diversi tra loro.
La verità è che si dicono degli immigrati le stesse cose che in USA dicevano di noi all’inizio del ‘900, le stesse che dicevamo noi del nord sui "terroni" qualche decennio fa, e che oggi quei "terroni" dicono degli albanesi.
La verità è che I poveri puzzano, hanno fame, sono sporchi, spesso ignoranti per cui bevono, mangiano male quel che capita, non hanno nessun gusto nel vestire o nell’arredare la casa, si ammalano di malanni ributtanti, sono noiosi, antipatici, insistenti. RUBANO persino, se gli capita l’occasione! Si mescolano con la peggior teppa!! E queste cose le fanno, prima o poi, TUTTI i poveri: albanesi, americani, italiani, russi o australiani.
I nordamericani ci fanno paura? Afef no, però. Gli arabi sono un po’ sporchi, vero? Però se sono I danarosi signori degli Emirati allora quelli no, vero? A quelli ci possiamo inchinare, ai loro soldi…
Siccome ho 2 nipoti extracomunitari da oggi, ogni volta mi verranno fatti questi discorsi porterò il mio esempio personale: cattivi gli albanesi? Perchè non hai mai avuto a che fare coi nepalesi: sono terribili! Io ne conosco due, li conosco bene, sono addirittura parente…
I razzisti sono stupidi, e lo sono 2 volte, quando dicono che non sono razzisti.
Detto questo: I razzisti hanno torto per due ordini di motivi: uno scientifico e uno logico.
Quello scientifico:
La razza umana è una: homo sapiens sapiens. Non ce ne sono altre. Esistono I "tipi" (caucasico etc) ma non le razze. Inoltre: ognuno di noi ha due genitori, 4 nonni, 8 bisnonni etc. etc. Risalendo indietro di qualche migliaio di anni prima di noi sono vissuti decine di migliaia di uomini. Ora: come è possibile se l’umanità era (migliaia di anni fa) moooolto meno numerosa di oggi? Insomma: siamo più "parenti" di un albanese a caso di oggi che di un nostro avo di 2000 anni fa.
Quello logico:
Le generalizzazioni sono sempre sbagliate. "Tutti gli aviatori sono xxxx" dove per xxxx c’è un pregio o un difetto è una preposizione sbagliata, perchè tutti gli aviatori sono diversi tra loro.
La verità è che si dicono degli immigrati le stesse cose che in USA dicevano di noi all’inizio del ‘900, le stesse che dicevamo noi del nord sui "terroni" qualche decennio fa, e che oggi quei "terroni" dicono degli albanesi.
La verità è che I poveri puzzano, hanno fame, sono sporchi, spesso ignoranti per cui bevono, mangiano male quel che capita, non hanno nessun gusto nel vestire o nell’arredare la casa, si ammalano di malanni ributtanti, sono noiosi, antipatici, insistenti. RUBANO persino, se gli capita l’occasione! Si mescolano con la peggior teppa!! E queste cose le fanno, prima o poi, TUTTI i poveri: albanesi, americani, italiani, russi o australiani.
I nordamericani ci fanno paura? Afef no, però. Gli arabi sono un po’ sporchi, vero? Però se sono I danarosi signori degli Emirati allora quelli no, vero? A quelli ci possiamo inchinare, ai loro soldi…
Siccome ho 2 nipoti extracomunitari da oggi, ogni volta mi verranno fatti questi discorsi porterò il mio esempio personale: cattivi gli albanesi? Perchè non hai mai avuto a che fare coi nepalesi: sono terribili! Io ne conosco due, li conosco bene, sono addirittura parente…
I razzisti sono stupidi, e lo sono 2 volte, quando dicono che non sono razzisti.
mercoledì 21 marzo 2007
Crostata

Ingredienti:
250 gr farina, 100 gr burro, 100 gr di zucchero, 2 rossi d’uovo, qualche goccia di latte, lievito in polvere.
Lavorare bene bene burro e zucchero fino a ottenere una crema. All’uopo è meglio lasciare il burro fuori del frigidaire, in modo che sia molle anziché no. A crema ottenuta si aggiuntino i uovi (come direbbe Rebora) mescolando ben bene. Poscia si metta la farina e il lievito, mescolando con calma, finchè non diventa abbastanza omogenea, allora rimescolare con le mani. Se fosse troppo duro l’impasto aggiungere qualche goccia di latte. Disporre la marmellata sulla torta e decorare a piacere (la marmellata è meglio che sia leggermente diluita con acqua tiepida). Infornare a 180° per 30’.
Vino consigliato: non ce n’è. A ognuno il suo. Io preferisco il dolcetto.
250 gr farina, 100 gr burro, 100 gr di zucchero, 2 rossi d’uovo, qualche goccia di latte, lievito in polvere.
Lavorare bene bene burro e zucchero fino a ottenere una crema. All’uopo è meglio lasciare il burro fuori del frigidaire, in modo che sia molle anziché no. A crema ottenuta si aggiuntino i uovi (come direbbe Rebora) mescolando ben bene. Poscia si metta la farina e il lievito, mescolando con calma, finchè non diventa abbastanza omogenea, allora rimescolare con le mani. Se fosse troppo duro l’impasto aggiungere qualche goccia di latte. Disporre la marmellata sulla torta e decorare a piacere (la marmellata è meglio che sia leggermente diluita con acqua tiepida). Infornare a 180° per 30’.
Vino consigliato: non ce n’è. A ognuno il suo. Io preferisco il dolcetto.
Luca è con noi

A Plodio c'erano un padre e una madre disperati: un loro giovane figlio se n'era andato per sempre. A Plodio c'è gente abituata a risolvere problemi, gente pratica, poco propensa ai discorsi vaniloquenti, agli sbrodolamenti verbali. A Plodio i due genitori, con tante altre persone, si sono chieste come potevano usare il dolore. A Plodio si sono risposti con semplicità che il dolore serve, deve servire a qualcosa. Anche il mulo, su per la salita, carico di legna, sa che il male che sente alle zampe, al dorso, è un dolore che è un segnale e insieme uno stimolo: vuol dire "coraggio, la cima è vicina, pochi passi e ti toglierai quel peso". Il dolore serve, ecco a cosa: a costruire qualcosa per il bene degli altri, serve da stimolo per agire di fronte a qualcosa che (a pensarci bene) ci fa paura, di fronte ad un problema che non sappiamo risolvere, decifrare, un nodo che non sapremmo slegare.
Il dolore, in questi casi, diventa la benzina (perchè come questo liquido è un dolore che avvampa) di una serie di azioni. I genitori di Luca, insieme ad altri amici, hanno già costruito una scuola e restaurato una maternità in Costa d'Avorio. Ora intraprendono la via delle adozioni internazionali a distanza.
Io li ho visti: sono persone sobrie, miti, tranquille, eppure energiche della stessa energia dei vecchi montanari. Nelle riunioni serali gli uomini hanno negli occhi tutta la stanchezza di un giorno di lavoro. Le donne sono tutte solide, materne, dure e sorridenti come le donne russe descritte da Primo Levi o da Rigoni Stern. Decidono, discutono, deliberano. E non un centesimo, non un pensiero, non un'azione, per quanto piccola, è fatta e dimensionata se non in funzione dell'aiuto che possono dare ad un nuovo amico africano.
lunedì 19 marzo 2007
Primo Levi

Uno spazio esiguo per parlare di uno dei "grandi" del mio personale mondo letterario: Primo Levi.
Ha scritto combinando le parole, pesandole, rendendole adatte, proporzionali, esatte. Cotte alla giusta temperatura, pressione, umidità relativa.
I ragionamenti scorrono come carroponti ben lubrificati, le ricostruzioni sono sorrette da impalcature classiche: archi a tutto sesto, pilastri di logica, lesense di rigore. Pure la narrativa d'invenzione è la scoperta di un mondo nuovo, contiguo e verosimile, accogliente (a tratti), angosciante. Ma in ogni paesaggio c'è l'uomo al centro, con tutti i suoi pregi e difetti.
Tutti si ostinano a leggere "Se questo è un uomo" e va bene, è opera di testimonianza, è indispensabile. Ma lo stupore lo si prova nelle cavalcate attraverso l'Europa orientale, tanto per guerra quanto per lavoro (Se non ora quando? e La chiave a stella). Ecco i due CAPLAVORI di Levi.
Quanto ancora dovrà aspettare per essere trattato come merita?
domenica 18 marzo 2007
Riviste da pettegolezzi: innocue?...
CHI
Dal medico, in sala d’aspetto, ho preso una rivista dal mucchio e mi sono messo a leggere. Ne approfitto perché sennò non mi sognerei mai di spendere soldi in riviste patinate di pettegolezzi, foto di dive, scandali televisivi. In copertina campeggia una giunonica signorina la quale all’interno sarà intervistata a proposito della sua storia d’amore con uno sportivo. Da un lato un comico, attorniato da splendide signorine, propone qualcosa di buono. Pare, infine, che un nobile in carica di un piccolo principato abbia fatto o detto qualcosa di determinante. “E inoltre…” in calce alla pagina, promette immagini e indagini sugli ultimi scandali delle VIP.
Il giornale si chiama “Chi”, costerebbe 1,70 E. ma te lo regalano insieme a Donna Moderna e Star + TV. Mica male… E’ edito da Mondatori, diretto da Umberto Brindani. Collaborano, fra gli altri, Costanzo, Branko, Elsa Martinelli, Alfonso Signorini (V. direttore), Maria Scicolone, Enrico Vanzina. I più bei nomi della superficialità italiana. Ma non potrebbe essere diversamente, la rivista in questione non è senz’altro uno strumento d’approfondimento o di studio. E’ semplicemente un giornale molto colorato, ricco di fotografie e storie che riguardano persone note attraverso la televisione o il cinema, tipicamente belle donne e bei uomini, perlomeno affascinanti. Ufficialmente svelano segreti a carico dei VIP, in realtà servono per dimostrarci quanto queste VIP siano tribolate e afflitte da questioni d’amore, di denaro, di salute, di lavoro. Proprio come noi. In fondo, anche se famosi, le VIP ci somigliano parecchio, meglio: noi somigliamo molto a loro. Come avrà già intuito qualche psicologo, attraverso questi giornali possiamo proiettarci fra le VIP, essere loro, e, anziché affrontare la nostra vita di merda, sognare di andare incontro ad un tragico destino (la battuta era di Altan).
Sfoglio con gusto il giornale anzidetto (febbraio 2006) e mi imbatto in un servizio diverso dagli altri. A curarlo è il vicedirettore Alfonso Signorini, laureato in filologia medievale, ma famoso per essere critico di costume televisivo con master nei reality. Il pezzo tratta di un amabile vecchierello, tenero, canuto, sorridente, il quale, assai ricco, pare abbia deciso di regalare allo Stato italiano, e perciò a tutti gli italiani, parte del suo cospicuo archivio storico personale, ricco di inimmaginabili documenti autografi. Pare che addirittura la Storia vada riscritta in alcune sue parti e che lui abbia le pezze d’appoggio necessarie alla bisogna. Mette una vaga tristezza immaginare questo mite signore tutto solo nella sua villa di campagna, in Toscana, circondato dai ricordi. Più di tutto, dice nell’intervista, mi manca la mia adorata moglie. E’ quindi vedovo, poveruomo. Alla moglie anzidetta ha dedicato un poema tradotto in molte lingue (gli è tosto arrivata l’edizione in cinese). Comunque da semplice figlio di un mugnaio si è fatto da solo, studiando e impegnandosi, fulgido esempio per le italiche generazioni. Una qualche carriera militare, ha costruito la “casa del libro” di Pistoia, direttore della Permaflex, socio della Lebole, poi la carriera diplomatica all’estero. L’impegno politico, quindi, anche se, confessa, ora “Sono ormai disamorato della politica: non c’è più colloquio tra quelli che dirigono il Paese”.
Vorrei aggiungere che quest’ultima è la notizia che mi dà maggior sollievo appresa dalle venerabili labbra (e trascritta sul giornale) del dott. Licio Gelli. Di questo diplomatico intrallazzatore che farebbe (anche) i miei interessi posso farne certamente a meno. La loggia massonica P2 da lui fondata, venendo alla luce si è forse dissolta, ma molti hanno fatto tesoro del suo insegnamento: solo con una rete di “amicizie” e connivenze si può avere il controllo del potere. E poi gli ex piduisti sono vivi e vegeti, e circolano liberamente, e prendono parte attiva alla politica nazionale, a partire dall’ex presidente del consiglio, ad alcuni suoi collaboratori (Cicchitto) o ad alcuni simpatici intrattenitori televisivi (l’erudito professor Trecca, medico televisivo, lo stesso Costanzo o Gervasio). E chissà che fine hanno fatto tutti gli altri, nomi poco conosciuti ma che occupano sovente posizioni di una qualche importanza. La loggia, anche se non ha più nomi e strutture, secondo me esiste ancora, ed è trasversale, multipartitica, polifunzionale. Non ho prove, è solo un’impressione. Però se fosse vero questa italica democrazia sarebbe tutt’ora azzoppata, incompleta.
L’impressione di questa connivenza l’avverto quando noto Alfonso Signorini intervistare con tanto riguardo il venerabile, darne un’immagine buona, mite e filantropa, infilando nella stessa rivista a cui collaborano altri personaggi televisivi, foto e citazioni di Gelli fra l’ultima tresca e l’ultima moda, come cosa di non grande importanza, come un suggerimento, come dire: “Ma guarda che brava persona questo Gelli…”. Ma… e lo scandalo della P2? Ci risponde lo stesso intervistato: “E’ già stato scritto e detto di tutto, storia vecchia”. Lui vuole solo stare tranquillo, scrivere le sue poesie e basta. “Dimenticatemi” sembra dire. Ma intanto dona uno splendido malloppo di testimonianze storiche all’Archivio di Stato di Arezzo (lo riceve Linda Giuva, moglie dell’attuale ministro degli esteri…) come a voler dimostrare quanto sia generoso (fatto inoppugnabile: è generoso).
Pian piano la storia d’Italia del dopoguerra verrà riscritta, non nei testi fondamentali, non nelle enciclopedie, non nei testi scolastici. La storia sarà scritta da un pessimo giornalista televisivo e da un suo bel “format”, verrà riscritta da una rivista patinata piena di culi e tette. Che differenza vuoi che ci sia a dire “guerra civile” o “Resistenza”? Nessuna, stai lì a speculare… La P2? Massì, in fondo non hanno mica poi fatto nulla di male, anzi, ci avrebbero difeso dai sovietici. E insieme a questo passa anche il resto: Licio Gelli è stato condannato dalla cassazione (23-11-95) per depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna, mi pare un fatto assai grave. Altri 12 anni l’ha rimediati nel ’94 per bancarotta del Banco Ambrosiano (e collegamenti con lo IOR). Solo 3 anni per la faccenda della P2. Ha avuto contatti (pare) con il governo argentino di Peron e con alcuni generali sudamericani, prima ancora aveva vestito la divisa di ufficiale dell’esercito di una repubblica nata illegalmente ed avversa allo Stato italiano, ricoprendo il ruolo di ufficiale di collegamento addirittura con Hermann Göering. Mi sembrerebbe giusto che questo anziano signore, quantomeno, non venisse dipinto come di fatto è stato. Mi piacerebbe che, anziché parlare dei suoi antichi documenti, faccia un atto di vera e profonda generosità, mettendo la sua memoria e la sua coscienza a disposizione di un magistrato, un avvocato, uno storico e un giornalista, in modo da raccogliere la testimonianza di colui che ha visto gli avvenimenti degli ultimi sessant’anni dalla parte del manico.
Dal medico, in sala d’aspetto, ho preso una rivista dal mucchio e mi sono messo a leggere. Ne approfitto perché sennò non mi sognerei mai di spendere soldi in riviste patinate di pettegolezzi, foto di dive, scandali televisivi. In copertina campeggia una giunonica signorina la quale all’interno sarà intervistata a proposito della sua storia d’amore con uno sportivo. Da un lato un comico, attorniato da splendide signorine, propone qualcosa di buono. Pare, infine, che un nobile in carica di un piccolo principato abbia fatto o detto qualcosa di determinante. “E inoltre…” in calce alla pagina, promette immagini e indagini sugli ultimi scandali delle VIP.
Il giornale si chiama “Chi”, costerebbe 1,70 E. ma te lo regalano insieme a Donna Moderna e Star + TV. Mica male… E’ edito da Mondatori, diretto da Umberto Brindani. Collaborano, fra gli altri, Costanzo, Branko, Elsa Martinelli, Alfonso Signorini (V. direttore), Maria Scicolone, Enrico Vanzina. I più bei nomi della superficialità italiana. Ma non potrebbe essere diversamente, la rivista in questione non è senz’altro uno strumento d’approfondimento o di studio. E’ semplicemente un giornale molto colorato, ricco di fotografie e storie che riguardano persone note attraverso la televisione o il cinema, tipicamente belle donne e bei uomini, perlomeno affascinanti. Ufficialmente svelano segreti a carico dei VIP, in realtà servono per dimostrarci quanto queste VIP siano tribolate e afflitte da questioni d’amore, di denaro, di salute, di lavoro. Proprio come noi. In fondo, anche se famosi, le VIP ci somigliano parecchio, meglio: noi somigliamo molto a loro. Come avrà già intuito qualche psicologo, attraverso questi giornali possiamo proiettarci fra le VIP, essere loro, e, anziché affrontare la nostra vita di merda, sognare di andare incontro ad un tragico destino (la battuta era di Altan).
Sfoglio con gusto il giornale anzidetto (febbraio 2006) e mi imbatto in un servizio diverso dagli altri. A curarlo è il vicedirettore Alfonso Signorini, laureato in filologia medievale, ma famoso per essere critico di costume televisivo con master nei reality. Il pezzo tratta di un amabile vecchierello, tenero, canuto, sorridente, il quale, assai ricco, pare abbia deciso di regalare allo Stato italiano, e perciò a tutti gli italiani, parte del suo cospicuo archivio storico personale, ricco di inimmaginabili documenti autografi. Pare che addirittura la Storia vada riscritta in alcune sue parti e che lui abbia le pezze d’appoggio necessarie alla bisogna. Mette una vaga tristezza immaginare questo mite signore tutto solo nella sua villa di campagna, in Toscana, circondato dai ricordi. Più di tutto, dice nell’intervista, mi manca la mia adorata moglie. E’ quindi vedovo, poveruomo. Alla moglie anzidetta ha dedicato un poema tradotto in molte lingue (gli è tosto arrivata l’edizione in cinese). Comunque da semplice figlio di un mugnaio si è fatto da solo, studiando e impegnandosi, fulgido esempio per le italiche generazioni. Una qualche carriera militare, ha costruito la “casa del libro” di Pistoia, direttore della Permaflex, socio della Lebole, poi la carriera diplomatica all’estero. L’impegno politico, quindi, anche se, confessa, ora “Sono ormai disamorato della politica: non c’è più colloquio tra quelli che dirigono il Paese”.
Vorrei aggiungere che quest’ultima è la notizia che mi dà maggior sollievo appresa dalle venerabili labbra (e trascritta sul giornale) del dott. Licio Gelli. Di questo diplomatico intrallazzatore che farebbe (anche) i miei interessi posso farne certamente a meno. La loggia massonica P2 da lui fondata, venendo alla luce si è forse dissolta, ma molti hanno fatto tesoro del suo insegnamento: solo con una rete di “amicizie” e connivenze si può avere il controllo del potere. E poi gli ex piduisti sono vivi e vegeti, e circolano liberamente, e prendono parte attiva alla politica nazionale, a partire dall’ex presidente del consiglio, ad alcuni suoi collaboratori (Cicchitto) o ad alcuni simpatici intrattenitori televisivi (l’erudito professor Trecca, medico televisivo, lo stesso Costanzo o Gervasio). E chissà che fine hanno fatto tutti gli altri, nomi poco conosciuti ma che occupano sovente posizioni di una qualche importanza. La loggia, anche se non ha più nomi e strutture, secondo me esiste ancora, ed è trasversale, multipartitica, polifunzionale. Non ho prove, è solo un’impressione. Però se fosse vero questa italica democrazia sarebbe tutt’ora azzoppata, incompleta.
L’impressione di questa connivenza l’avverto quando noto Alfonso Signorini intervistare con tanto riguardo il venerabile, darne un’immagine buona, mite e filantropa, infilando nella stessa rivista a cui collaborano altri personaggi televisivi, foto e citazioni di Gelli fra l’ultima tresca e l’ultima moda, come cosa di non grande importanza, come un suggerimento, come dire: “Ma guarda che brava persona questo Gelli…”. Ma… e lo scandalo della P2? Ci risponde lo stesso intervistato: “E’ già stato scritto e detto di tutto, storia vecchia”. Lui vuole solo stare tranquillo, scrivere le sue poesie e basta. “Dimenticatemi” sembra dire. Ma intanto dona uno splendido malloppo di testimonianze storiche all’Archivio di Stato di Arezzo (lo riceve Linda Giuva, moglie dell’attuale ministro degli esteri…) come a voler dimostrare quanto sia generoso (fatto inoppugnabile: è generoso).
Pian piano la storia d’Italia del dopoguerra verrà riscritta, non nei testi fondamentali, non nelle enciclopedie, non nei testi scolastici. La storia sarà scritta da un pessimo giornalista televisivo e da un suo bel “format”, verrà riscritta da una rivista patinata piena di culi e tette. Che differenza vuoi che ci sia a dire “guerra civile” o “Resistenza”? Nessuna, stai lì a speculare… La P2? Massì, in fondo non hanno mica poi fatto nulla di male, anzi, ci avrebbero difeso dai sovietici. E insieme a questo passa anche il resto: Licio Gelli è stato condannato dalla cassazione (23-11-95) per depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna, mi pare un fatto assai grave. Altri 12 anni l’ha rimediati nel ’94 per bancarotta del Banco Ambrosiano (e collegamenti con lo IOR). Solo 3 anni per la faccenda della P2. Ha avuto contatti (pare) con il governo argentino di Peron e con alcuni generali sudamericani, prima ancora aveva vestito la divisa di ufficiale dell’esercito di una repubblica nata illegalmente ed avversa allo Stato italiano, ricoprendo il ruolo di ufficiale di collegamento addirittura con Hermann Göering. Mi sembrerebbe giusto che questo anziano signore, quantomeno, non venisse dipinto come di fatto è stato. Mi piacerebbe che, anziché parlare dei suoi antichi documenti, faccia un atto di vera e profonda generosità, mettendo la sua memoria e la sua coscienza a disposizione di un magistrato, un avvocato, uno storico e un giornalista, in modo da raccogliere la testimonianza di colui che ha visto gli avvenimenti degli ultimi sessant’anni dalla parte del manico.
sabato 17 marzo 2007
Perchè si scrive?
Io lo so cosa vuol dire scrivere. È una mania, un gioco (all’inizio) che fai per passare il tempo, come scarabocchiare al telefono. Fai dei ghirigori, niente di più, ma poi scopri che quel tale svolazzo somiglia alla testa di un cavallo, allora lo migliori, lo correggi, lo rendi più adatto. Ecco: sei già a metà della patologia.
Ti armi di carta, computer, penna o matita, cominci a scrivere magari lettere, magari piccole storie, piccole buffe poesiole (niente come la poesia inganna il neofita) e sei oltre i tre quarti della patologia. Poi fai il salto finale: fai leggere qualcosa di tuo a qualcuno di cui t’importa il giudizio. Questo qualcuno, se è vero che tieni al suo giudizio, ti vuole bene o, perlomeno, gli/le vuoi bene. Sceglierai quindi una poesia, un racconto, un pezzetto che secondo te merita, vale la pena d’esser letto. Glielo consegni e vorresti che per il solo fatto di averglielo messo in mano quella persona facesse salti di gioia, ti abbracciasse e ti dicesse da quanto l’umanità si aspettava che Tu parlassi attraverso una poesia o un racconto. E invece no. Frasi di circostanza, tipo ma che bello, ma che bravo, leggerò. Dopo mezz’ora sei già lì che vorresti chiedere: “Allora? Com’è? Sei svenuto? Ti è piaciuto? Si, vero? Moltissimo, vero? Non sai neppure dire quanto, vero? Ti stai per precipitare dal signor Mondadorenaudifeltrinelli in persona a dirgli ma cosa vi siete persi! Vero?” E invece silenzio. Ti tocca aspettare il (ragionevole) tempo di sbrigare gli impegni pregressi (e già entrare in concorrenza con una bolletta da pagare o con una torta nel forno fa girare le balle). Alla fine del tempo, quando hai aspettato abbastanza ecco allora comparire la persona. Tiene in mano il foglio con il tuo prodotto, rilegge (o fa mostra di farlo) e poi parte l’esegesi che è di due tipi:
Esegesi “della mamma”: ma che bravo che sei, io lo sapevo, l’ho sempre saputo, sei un genio, un mito, splendido, mirabile, eccellente (ti fa piacere ma non credi a una parola).
Esegesi “dell’amico che senintende”: bello, mi piace, divertente, commovente, stile asciutto ma denso di significati, ottime descrizioni. PERÓ… Già. C’è un però… Ovvero: questo personaggio lo avrei reso più nevrotico, più saggio, più loquace, più basso, più biondo, più strabico. Questo paesaggio lo avrei fatto meno tetro, meno largo, meno verde, meno selvaggio.
Il massimo sono quelli che sanno che nella tua opera c’è qualcosa che non va ma non sanno bene dove, ad es. : “Si, non c’è male, però andrebbe più… Meno…Come dire, forse un po’ più… Ecco, ad esempio…” E cominciano a cercare un passaggio ma non lo trovano più.
Confuso da queste impressioni il neofita fa la cazzata della sua vita: decide di pubblicare. Per quanto riguarda questa perversa esperienza della vita umana si rimanda ad altri saggi, già scritti e narrati altrove. Io parlerò di me e del mio.
Ho capito che pubblicare è una cosa divertente che fa sentire (moderatamente) importanti. Quando hai il tuo libro in mano godi e ti piace. Dopo poco ne hai la nausea, perché sei il tuo solo lettore. Hai messo su tutto un ambaradan per stampare (mettiamo) 300 copie e ne hai vendute metà. Hai capito che di quelle centocinquanta (ad essere ottimisti) più o meno cinquanta l’hanno letto davvero. Di questi ultimi al massimo una ventina hanno letto con interesse, con senso critico, con passione quelle parole. E sono amici o conoscenti che mettono prima del giudizio estetico il sentimento di amicizia e affetto che vi lega.
Totale:
Cosa serve scrivere e pubblicare un libro? (Stiamo parlando di editoria locale).
È la stessa cosa che gettare un grosso sasso in uno stagno profondo. La pietra al contatto con l’acqua fa “pluf” e poi sparisce. Qualche piccola onda concentrica e poi tutto torna alla quiete più totale. A cosa serve scrivere? Ecco a cosa serve: a fare un piccolo rumore subito superato, a increspare di un onda minima una superficie calma, a rompere il silenzio per un attimo subito passato. E basta.
venerdì 16 marzo 2007
recensisco l'ultimo di Odifreddi

No, non è l'ultimo. E' il penultimo. Quello che ho letto io si chiama: "il matematico impertinente" dove per impertinente si intende 'non pertinente' e non 'maleducato'.
Che dire? Leggere Odifreddi è sempre illuminante. Consola sapere che al mondo ci siano persone così, che con molta semplicità parlano di cose difficilissime senza renderle banali, dicendo semplicemente: "Vuoi imparare? Studia! Non è impossibile".
Comunque il testo è suddiviso in varie sezioni, delle quali la più divertente è senz'altro quella sulla religione. Da segnalare l'intervista (ovviamente verosimile) a Gesù e quella (vera) al Dalai Lama.
Mirabile, allo stesso modo: "Nè con i clown, nè con i cloni", lucida analisi politica, vecchia di qualche anno ma (purtroppo) attualissima.
Se ne consiglia caldamente la lettura e lo studio.
Adesso compro l'ultimo, quello nel solco di Croce (e poi, per diretto antagonismo, di Russell) sul perchè possiamo non dirci cristiani (e meno che mai cattolici).
Ecco un buon sistema per togliere un po' di ragnatele dal cervello.
giovedì 15 marzo 2007
Orto da fresare (vicini permettendo...)

Aurelio ieri mi fa: “Se mi fresi un pezzo d’orto poi ci metto le cipolle”. Bof! Dico io, che ci vuole… E sguinzaglio la besta, la porto fuori. Trattasi di un avita BCS fine anni ’80. Motore ACME come quello dei cartoni animati, ma non molla neanche se gli spari. Appena fuori faccio un paio di controlli: olio, candela, cavetti, benzina, olio. Poi avvolgo il cavo, pompetto benzina nuova nel carburatore e comincio a tirare. Niente, nessuna reazione. Ovvero una, la più disastrosa: attratto dai rumori giunge un vicino di casa. Siccome negli anni ’50 ha fatto il camionista, ora senintende di motori. Mi sembra giusto.
“Cosa fai?”
“Faccio partire qui, la fresa, che devo fresare un pezzo…”
“Ma c’è troppo bagnato!”
“Ma no…, dice Aurelio di no.”
“Ti dico di si. Ti conviene aspettare…”
“Ma io ho tempo adesso.” E mi chino, intento, sul motore.
Ma lui, indefesso, riprende: “Ce l’hai messa la benzina?”
“Si che ce l’ho messa!”.
“Olio?”
“A posto”.
Avvolgo la corda, tiro: niente…
“Eh ma, a stare all’umido così tutto l’annno, tutto l’inverno, non va mica bene…”
“Eh no, ma vuoi mica che venga su a metterla in moto una volta al mese?!”
“Eh, bisognerebbe. E la candela, che candela è?”
“XXY”
“XXY non va bene. Ci vuole la YYX, quelle si che sono candele. Le usava anche Matteo. Lo conoscevi Matteo?”.
“Si che lo conoscevo” (non è vero, non so chi sia, ma è una balla per farlo smettere, ma tanto, lui, non smette…).
“Devi smontare la candela e poi avvicinare un po’ gli elettrodi”.
(E diamogli ragione… Hai visto mai…) la smonto, la guardo, la pulisco.
“Sono vicini?”
“Mi sembra, un po’”
“Eh, ma io non ci vedo mica. Saranno vicini. Allora allontanali un po’”.
Armeggio con un cacciavite.
“Eh ma non va bene il cacciavite. Non ce l’hai un coltello?”
“No, non ce l’ho il coltello” (sono ormai quasi cotto).
“Ma la benzina era nel serbatoio dall’anno scorso?”
“No, ce l’ho messa adesso”.
“Dove l’hai presa, a KJJK?”
(Dico la prima cosa che mi viene in mente) “Si”.
“Ahi-ahi-ahi-ahi se l’hai presa a KJJK! Ci mettono il gasolio dentro, fanno dei paciughi!!”
“Eh ma ormai…”
Intanto continuo a provare, a tirare, a spingere, a soffiare: niente. Lui, il vicino, con sguardo scettico dice: “E’ tutto inutile. Ti conviene caricarla sul furgone e portarla da un meccanico.”
Sarà così, penso. Si avvicina Aurelio. Lui è contadino. Contadino e basta. Avesse da far muovere un mulo, una vacca, saprebbe il da fare. Ma motori non ne vuole sapere. Lo dice lui per primo. Si appoggia all’impugnatura della BCS, si gratta, poi dice calmo: “Avete già provato a mettere questo interruttore su ‘marcia’ invece che su ‘stop’?”.
Panico!
Non ci avevamo guardato. Nessuno dei due provetti motoristi aveva guardato l’interruttore.
E’ bastato metterlo su ‘marcia’ e la BCS tranquilla e solerte s’è messa in moto ed ha fresato quel che doveva fresare. Alla fine il vicino mi ha detto che lui lo aveva immaginato, ma che pensava che io ci avessi già pensato…
“Cosa fai?”
“Faccio partire qui, la fresa, che devo fresare un pezzo…”
“Ma c’è troppo bagnato!”
“Ma no…, dice Aurelio di no.”
“Ti dico di si. Ti conviene aspettare…”
“Ma io ho tempo adesso.” E mi chino, intento, sul motore.
Ma lui, indefesso, riprende: “Ce l’hai messa la benzina?”
“Si che ce l’ho messa!”.
“Olio?”
“A posto”.
Avvolgo la corda, tiro: niente…
“Eh ma, a stare all’umido così tutto l’annno, tutto l’inverno, non va mica bene…”
“Eh no, ma vuoi mica che venga su a metterla in moto una volta al mese?!”
“Eh, bisognerebbe. E la candela, che candela è?”
“XXY”
“XXY non va bene. Ci vuole la YYX, quelle si che sono candele. Le usava anche Matteo. Lo conoscevi Matteo?”.
“Si che lo conoscevo” (non è vero, non so chi sia, ma è una balla per farlo smettere, ma tanto, lui, non smette…).
“Devi smontare la candela e poi avvicinare un po’ gli elettrodi”.
(E diamogli ragione… Hai visto mai…) la smonto, la guardo, la pulisco.
“Sono vicini?”
“Mi sembra, un po’”
“Eh, ma io non ci vedo mica. Saranno vicini. Allora allontanali un po’”.
Armeggio con un cacciavite.
“Eh ma non va bene il cacciavite. Non ce l’hai un coltello?”
“No, non ce l’ho il coltello” (sono ormai quasi cotto).
“Ma la benzina era nel serbatoio dall’anno scorso?”
“No, ce l’ho messa adesso”.
“Dove l’hai presa, a KJJK?”
(Dico la prima cosa che mi viene in mente) “Si”.
“Ahi-ahi-ahi-ahi se l’hai presa a KJJK! Ci mettono il gasolio dentro, fanno dei paciughi!!”
“Eh ma ormai…”
Intanto continuo a provare, a tirare, a spingere, a soffiare: niente. Lui, il vicino, con sguardo scettico dice: “E’ tutto inutile. Ti conviene caricarla sul furgone e portarla da un meccanico.”
Sarà così, penso. Si avvicina Aurelio. Lui è contadino. Contadino e basta. Avesse da far muovere un mulo, una vacca, saprebbe il da fare. Ma motori non ne vuole sapere. Lo dice lui per primo. Si appoggia all’impugnatura della BCS, si gratta, poi dice calmo: “Avete già provato a mettere questo interruttore su ‘marcia’ invece che su ‘stop’?”.
Panico!
Non ci avevamo guardato. Nessuno dei due provetti motoristi aveva guardato l’interruttore.
E’ bastato metterlo su ‘marcia’ e la BCS tranquilla e solerte s’è messa in moto ed ha fresato quel che doveva fresare. Alla fine il vicino mi ha detto che lui lo aveva immaginato, ma che pensava che io ci avessi già pensato…
martedì 13 marzo 2007
Il primo post
Per imparare a fare una cosa (una torta, un libro, una barca) dopo essersi documentati, la cosa migliore è farla, cercando di scansare le difficoltà maggiori, ovvero di somministrarsele con calma, senza perdere il controllo.
Allora: presentazione.
41 anni, operaio, sposato, hobby: lettura, passeggio, scrittura, pasti, bevute, chiacchere...
Perchè un blog?
Per capire come si fa, cos'è, a cosa serve e tutte queste cosette.
Quanti mi leggono?
Per ora nessuno, poi vedremo... (decine, forse).
Per ora basta.
A domani.
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